Paolo Becchi contro il governo Conte: così Genova è diventata invisibile
«Sapore di sabbia, sapore di mare». Forse Paoli, oggi, canterebbe così la sua, la mia Genova, queste spiagge ormai irraggiungibili, circondate da un cantiere dopo l'altro, da code interminabili di automobili ferme per ore e ore nel traffico dei lavori in corsi. Quel mare che si muove anche di notte, pochi, ormai, lo vedranno, quel mare che è stato, nella storia della città, una promessa e una speranza: per chi arrivava, dal Sud, in cerca di lavoro; per chi, per le stesse ragioni, lasciava una città che poi non avrebbe smesso di rimpiangere. La nostalgia del Righi che ti «stringe il cuore». È strano, certamente, vedere così pochi turisti in Riviera, a Ponente e a Levante. Ma è terrificante, soprattutto, vedere come questa città, che durante il lockdown era stata additata come simbolo della futura rinascita, con i lavori del ponte ultimati in tempi rapidi, tanto da far parlare persino di un "modello-Genova", venga ora lasciata morire. Un ponte è fatto per collegare, per rendere possibili nuovi scambi, comunicazioni, incontri. Questo nuovo ponte, costruito sulle macerie di una tragedia nazionale, sembra invece, oggi, non collegare nulla: si erge, solitario e desolato, tra mucchi di sabbia e cemento, tra strade chiuse al traffico, tra entrate di gallerie e uscite da gallerie attraverso le quali non si può transitare. È paradossale che l'opera a cui la città ha legato il suo nome in questi anni, la ricostruzione del ponte, sia ora ultimata - e con tempi e un impegno che sono divenuti un esempio per tutti - e che, proprio ora, nella stagione estiva, sia destinata a rimanere inservibile. Il Governo è riuscito, in fondo, in ciò che nemmeno al crollo del Ponte Morandi era riuscito: isolare completamente Genova e le sue riviere, rendere di fatto impossibile ogni ingresso ed uscita dalle sue autostrade, fare delle sue vie di traffico e di collegamento un cantiere a cielo aperto. Genova oggi continua ad essere in lockdown, per il mondo è solo "on line", vive "in remoto". L'università si è immediatamente adattata all'innovazione. La didattica digitale andrà ormai in larga parte a sostituire quella in presenza. Il virus non c'entra: a cosa serve una università "in presenza" in un città che vive "in remoto"?
Nulla ne possono il Comune e la Regione di questa situazione, va pure detto. Autostrade e il Ministero dei Trasporti sono i responsabili di questa scelta folle, che ha messo in tilt l'intera città, oltre che le sue vie d'accesso. L'università ci ha messo di suo. È difficile descrivere a chi non la conosca questa città «tutta visibile e presente a se stessa», come scriveva Paul Valery, che qui ebbe la sua "notte" celebre, la Nuit de Gênes, tra il 4 e 5 ottobre 1892, «rifilata con il suo mare, la sua roccia, la sua ardesia, i suoi mattoni, i suoi marmi». "Visibile e presente" e ora invisibile e assente. Che tristezza viverci e passeggiando tra i suoi caruggi vuoti sentire ancora la presenza di questa assenza. Città che è sempre stata raccontata, ricordata, da viaggiatori più o meno noti, per quell'«anfiteatro sul mare» che essa rappresenta, e che spiazza lo sguardo di chi arriva dall'interno dell'Italia, dalle montagne e dalle collina. Oggi Genova è una città letteralmente invisibile, perché arrivarci è di fatto impossibile. Ma senza qualcuno che la guardi, che la ammiri, la Superba - comunque bella - si lascia, lentamente, morire.