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Pietro Senaldi su Romano Prodi: "In corsa per il Quirinale, ma non ha paura di dire che il governo lavora a casaccio"

Pietro Senaldi
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Gli esperti di retroscena dei palazzi romani scrivono periodicamente che Romano Prodi è uno dei più autorevoli candidati alla successione di Mattarella alla presidenza della Repubblica. M5S sarebbe il suo sponsor principale. La prospettiva dorata non è però riuscita a frenare l'istinto del Professore, che ieri non ce l'ha più fatta e ha sbottato contro il governo. «Il denaro pubblico speso in sussidi è aumentato ma è stato versato a pioggia, in modo sparso e complicato, senza la giusta attenzione nel verificare a chi andasse», ha dichiarato l'ex premier, rifilando uno sberlone a Conte. Come dargli torto.

 

 

Il presidente del Consiglio ha sparso quattrini a casaccio, nel tentativo di sostenere l'economia. Quando c'era la clausura era comprensibile, anche se in realtà a quel tempo di soldi se ne sono visti una percentuale infima rispetto a quelli promessi, tant'è che c'è ancora chi aspetta la cassa integrazione di marzo. Oggi è ingiustificabile e intollerabile verificare che l'esecutivo pensa di portare l'Italia fuori dalla crisi economica post-Covid a colpi di voucher, sussidi e bonus e giustamente Prodi, costi quel che costerà, storce il naso. Quello che l'ex presidente del Consiglio bolognese non può dire, per non alienarsi definitivamente le simpatie del suo massimo sponsor per il Colle, è che il principale responsabile dello spreco di risorse pubbliche e della paralisi dell'esecutivo non è il premier ma sono i Cinquestelle, come al solito.

Esattamente un anno dopo, e con gli stessi tempi con i quali si è consumato il Conte uno, è giunta al capolinea operativo anche l'esperienza del Conte bis. Durante l'agosto scorso Salvini fece cadere il governo perché non riusciva più ad andare avanti con i grillini. Oggi il governo non cadrà, perché non ci sarebbe una soluzione di ricambio, ma questo non significa che lo stallo di quest' anno sia meno drammatico di quello del 2019. La maggioranza giallorossa si regge sulla non gestione del potere e se l'esecutivo va avanti è solo perché gli eredi del Pci e l'ex partito anti-Casta hanno fatto proprio l'insegnamento di Andreotti, secondo il quale tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia.

ESTREMA SINISTRA
Poiché l'esecutivo è di estrema sinistra, il buttare denaro in sussidi mal distribuiti non ha generato contrasti. Ma oggi, che in teoria dovrebbe partire la fase della ripresa e i quattrini dovrebbero essere spesi con oculatezza, sono esplosi tutti i guai. Una settimana fa è stato inaugurato il nuovo Ponte di Genova, in sostituzione del Morandi, ma le automobili ancora non ci possono andare perché, prima di aprirlo al traffico, va collaudato. Dovrebbe farlo la società Autostrade, ma finché i grillini non si esprimeranno definitivamente se revocare o no la concessione ai Benetton, il ponte resterà sospeso sul nulla. Intanto, intorno a esso, il traffico della Liguria è paralizzato e chi progetta un fine settimana al mare deve mettere in contro cinque o sei ore di coda per arrivarci. Altro stallo costosissimo, quello su Ilva. M5S si oppose allo scudo penale per Arcelor-Mittal, la società compratrice, la quale impugnò il contratto e presentò un drastico piano di ristrutturazione. I grillini si opposero, persero altro tempo, e oggi, che il mercato dopo il Covid è crollato ulteriormente, la multinazionale ha presentato soluzioni ancora più drastiche in tema di riduzione del personale. Soldi buttati anche per Alitalia. M5S ha previsto uno stanziamento di tre miliardi per rimetterla in pista, oltre al miliardo e ottocento milioni di prestito-ponte che non verrà mai restituito allo Stato e ai 13 miliardi che la compagnia ci è costata in questi anni, casse integrazioni escluse. Il Pd, come lo stesso Prodi anni fa, vorrebbe cedere l'azienda a chiunque se ne voglia far carico. Gli americani hanno presentato un piano da un miliardo e mezzo, ma, a causa di M5S, il governo non l'ha neppure considerato.

BANCHE E RETI
Stesso discorso per Monte dei Paschi, di cui il ministero dell'Economia possiede già il 68% e che i Cinquestelle vorrebbero trasformare in una banca pubblica a nostre spese, e per Popolare Bari, che sta per passare sotto il controllo del Mediocredito Centrale. Per non parlare della rete Telecom, che Grillo vorrebbe rimanesse l'unica via digitale in Italia, per di più interamente sotto il controllo dello Stato. M5S punta a statalizzare tutto e il progetto è così leninista da indispettire perfino l'ex presidente dell'Iri, il grande carrozzone statale che controllava tutte le imprese con partecipazione pubblica. Non si sa se il professore abbia bocciato il sistema di sussidi di Conte e grillini per voce dal sen fuggita o perché abbia intuito che qualcosa sta cambiando nel potere romano. Quel che però è evidente è che il giudizio sull'operato dell'esecutivo ormai accomuna Prodi e Salvini, Berlusconi e Bonaccini, Gori e la Meloni: il Paese avrebbe bisogno di riforme, decisioni e piglio imprenditoriale, ma la maggioranza è ostaggio dell'incompetenza e dell'ideologia novecentesca dei grillini e l'unica via di salvezza è cominciare a dirlo a ogni occasione.

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