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Emilio Fede, "arrestano lui e non i camorristi": l'affondo di Renato Farina

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Emilio Fede, giusto oggi 89 anni, è stato arrestato da un commando di 7 (sette) carabinieri in borghese, per impedire che l'evaso da Alcatraz alla vista delle divise si allarmasse e fuggisse come Tarzan appendendosi alle liane. Rintracciamo un antico precedente. 11 maggio 1960, Buenos Aires: la cattura con un formidabile blitz da parte del Mossad del burocrate nazista della Shoa, Adolf Eichmann. Gli israeliani erano in quattro. Ma vuoi mettere la pericolosità per il genere umano di Emilio, noto mostro delle Olgettine? L'Arma non ne ha colpa, obbedisce agli ordini come forza di polizia giudiziaria. Constatiamo con sgomento lo spreco indecente della legge e lo sfregio del buon senso per un'azione che peraltro ha mandato in solluchero una platea di cannibali da social, subito scatenati nei festeggiamenti rispetto a cui le danze tribali davanti al pentolone dove sta cuocendo il povero missionario sono riti quaresimali. 

 

La cronaca. Il vecchio giornalista stava scontando agli arresti domiciliari nel suo appartamento a Milano 2 la condanna per non sappiamo più quale processo Ruby (il 2 o il 3?). Non eccepiamo qui sulla congruità della condanna e circa l'opportunità di una carcerazione di fatto coincidente con l'ergastolo. Sappiamo però che tra poco sarebbe scattato l'affidamento ai servizi sociali per gli ultimi quattro anni di pena. Fede ha perciò inoltrato domanda di potersi recare dalla moglie a Napoli al giudice di sorveglianza. Lo stagionato boccalone era sicuro di ricevere il permesso, del quale legalmente godono fior di giovani assassini e anziani mafiosi di cui va tutelata la salute corporale e spirituale messa in questione dal Covid. Non discutiamo di queste concessioni, siamo contro la tortura. Ma ci permettiamo di interrogarci su quali siano i criteri e come si applichino. Perché cioè se si deve distribuire un bonus di generosa umanità siano stati subito individuati gli anzidetti boss e Fede invece crepi lì. Misteri o arbitrarietà? 

«ERO TERRORIZZATO»
Fatto sta che per Fede il permesso tarda, sarà forse lo Smart Working dell'amministrazione giudiziaria, o magari la colpa è dell'incendio notturno dei mesi scorsi nella cancelleria del palazzo di Giustizia di Milano: un falò che ha incenerito proprio i fascicoli in uso ai giudici di sorveglianza. L'uomo non è fatto di legno, bussa all'uscio la data dell'ottantanovesimo compleanno, e Fede esplode, vuol passarlo a Napoli, dove abita la moglie Diana De Feo, santa donna, e celebrarlo con lei in un ristorante sul lungomare. Come scrisse un poeta prematuramente scomparso: «Primavera è due vecchi che si vogliono bene» (Brunello Mucci). Lo documenta la fotografia della coppia ottuagenaria di Barcellona che ha potuto infine baciarsi pur separata dalla plastica. Ma per Fede chi vuoi che si commuova? Emilio l'Africano decide di partire. Informa, povero pirla, i carabinieri di Segrate della sua decisione di dare per accordato il permesso e di recarsi sotto il Vesuvio sulla parola. Il viaggio fila liscio. 

 

Dalle parti di Castel dell'Ovo tira una profumata brezza. Due passi sul lungomare. Non mette la mascherina, in Campania non è obbligatoria, è riconoscibilissimo, pur rugoso e giallastro come i principi incartapecoriti dei romanzi russi. Il tavolo al ristorante con la signora. Ed ecco, prima di soffiare le candeline, la sorpresa. Si palesa e si qualifica un ufficiale dei carabinieri («gentilissimo», noterà Fede dalla camera d'hotel della sua neo-prigionia). C'è un mandato d'arresto per evasione. L'inventore del Tg4 non dimentica di essere un cronista assunto da Enzo Biagi alla Rai nel 1960, e sa che per il pubblico il gusto della narrazione sta nei particolari: vede i militari in borghese, li conta, sette in tutto. Lo portano via davanti alla moglie. 

LA LEGGE DI GOMORRA
La gente intorno, ma anche noi che scriviamo, guardiamo la scena di questo monumento antico buttato giù pure lui come quelli americani, e restiamo interdetti. Viene interrogato per tre ore nella notte. Fede al telefono racconterà il suo stato d'animo: «Terrorizzato». Non bastava dire: ehi signor Fede, finisca pure la cena, se vuole prendiamo un caffè e usciamo insieme senza scandalizzare e senza farla vergognare davanti a camerieri e clienti? Siamo arciconvinti che Emilio Fede ha sbagliato. Bisogna assoggettarsi alle condanne e rispettarle. Sopportare anche quelle che si ritengono ingiustizie. In fondo lo Stato siamo noi. Se ci tocca ingozzarci di questa sbobba nauseabonda, ne siamo pure noi responsabili. Ma perché è così? Perché la giustizia colpisce inesorabilmente gli innocui - simpatici o antipatici non conta - incapaci di far danno, specie se ex potenti, e usa i guanti di seta e lascia nei loro aurei posti di comando toghe che hanno insozzato la loro sacra (?) missione? Imparzialità fammi un fischio. 

C'è qualcuno che può darci il visto per il Burundi o per l'Uganda, o la residenza in qualche altro Paese alle falde del Kilimangiaro dove esista almeno un barlume di civiltà e di rispetto per i vecchi? In Italia tutto questo è calpestato, altro che Stato di diritto. Da noi ci sono città - una a caso, Napoli - dove la criminalità impera, vi si alimentano leggende nere di eroi imprendibili e onorati dal volgo, e la letteratura e la tivù ne glorificano il regno con il nome biblico di Gomorra. In compenso un manipolo di agenti con una morsa a tenaglia da studiare all'accademia sono riusciti a catturare Emilio Fede. Altro che Eichmann.

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