Coronavirus, Renato Farina replica ai teorici del lockdown perenne: "Ma andate a quel Paese, gli italiani vogliono il mare"
Il primo giorno dell'estate è stato quello dell'evasione di massa dalle nostre galere domestiche. Le spiagge sono affollatissime. Ma anche i prati sui pendii delle Prealpi vedono tovaglie disposte vicino agli alberi, con i bambini che tirano il pallone, e il nonno che ronfa sdraiato sul plaid. Le autostrade e le superstrade registrano code agostane. Ma non si lamenta nessuno. Ah la banale, ottusa normalità di noi imbecilli, che gioia prevedere le scottature. C'è il gusto di sentire le caviglie e i polsi liberi, persino l'odore di asfalto e di benzina ci pare meglio del tanfo dei disinfettanti. Tutti irresponsabili? Ma chi lo dice? In Italia abbiamo settemila km di coste, se c'è qualche pirla che si diletta in abbracci e alitate sul volto del prossimo, la grandissima maggioranza si accontenta di respirare, di picchiare i piedi nell'acqua mai stata così desiderata e pulita. Non vediamo la tragedia. I menagramo dissentono. Con il ciglio alzato sostengono che gli italiani si sono buttati nelle braccia del virus, mandando a ramengo il meticoloso codice delle precauzioni, e così garantendosi il proliferare di focolai che si trasformeranno in autunno in rovinosi incendi, per la gioia del Covid-19 che con il forcone ci getterà come covoni in un falò. Una persona seria come Luca Ricolfi si dimostra pressoché sicuro nel lanciare questa profezia, e ne dà una motivazione provocatoria e un tantino offensiva. Avremmo sacrificato la salute al fatturato del turismo, confermando la diceria perenne sul carattere degli italiani, orribili cicale che intendono la vita come una gita al luna park. Altri dicono la stessa cosa, con l'aria di chi si vede già nel prossimo autunno in televisione a citarsi addosso, compiacendosi con la vanteria dell'io-l'avevo-detto. Non abbiamo alcuna intenzione di ridicolizzare chi si preoccupa. Il fatto è che il principio di precauzione ha delle ovvie gradualità. Se si insiste nel consegnare il popolo al 41 bis, con il vetro o il plexiglas ad accompagnarci anche nei colloqui intimi, si finisce proprio per non considerare il più importante dei principi di precauzione: quello secondo cui si deve pur vivere, i bambini devono vedere i loro coetanei, giocare con la sabbia, anche se non hanno a disposizione la spiaggia privata, e correre con l'aquilone pur non alloggiando in una magione con parco. Mi sbaglierò ma tutti quelli che condannano lo spiraglio di apertura delle attività turistiche, sono precisamente quelli per cui lo stipendio in questi mesi è tranquillamente pervenuto a destinazione.
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L'USO DELLA RAGIONE
Del resto, ci si passi queste osservazioni. Bisogna per forza aver fiducia nel virologo più catastrofico, in ossequi al citato principio di precauzione? Dobbiamo dar retta obbligatoriamente al polemista con l'umore più nero di tutti? L'uso della ragione consiglia, nelle questioni gravi della vita, non di assecondare gli apocalittici, ma di riferirsi a chi è ritenuto il più avveduto dalla comunità internazionale degli specialisti e non abbia conflitti di interesse. Ebbene, tra i primi nella classifica delle pubblicazioni scientifiche a livello accademico globale, figura il professor Giuseppe Remuzzi, dell'Istituto Mario Negri. Questo luminare si è esposto, con ciò mettendo a repentaglio il prestigio accumulato in una vita, sostenendo che bisogna finirla con il panico, che il virus ha smussato i suoi artigli. Che gli asintomatici pur se positivi non sono contagiosi. Da studi scientifici di altri Paesi d'Europa si ricava che i bambini fino a 5 anni non si ammalano, e che fino a 15 anni non lo trasmettono. Incredibilmente in Italia ci ostiniamo a conservare in salamoia i piccini, tenendo chiuse scuole materne ed elementari, e consegnandoli a danni contro cui dovrebbe pur valere il principio di precauzione. O no? Nelle città i bus sono affollati, le metropolitane anche. Che si fa, si annullano i servizi di trasporto pubblico? Persino in guerra, pur essendoci il rischio di bombardamenti, si saliva sui tram e si andava a far la spesa in coda, e le fabbriche erano aperte. Non c'è scandalo se anche i baracchini sui lungomari desiderano campare, e le ragazzine farsi fare il filo (non so se dice ancora così).
STATO DI TERRORE
Quale sarebbe l'alternativa? Un'estrazione a sorte su chi può andare al mare e chi no? Le targhe alterne per le autostrade? Tutti i virologi, ma proprio tutti, confermano che i focolai si sono accesi in luoghi chiusi. Che all'aria aperta non si conoscono casi di contagio diffuso, salvo che nelle calche degli stadi o dei concerti. E ci pare che dopo i primi errori dovuti all'ignoranza e al colpevole silenzio cinese a questo rischio si sia cercato di porre rimedio. Lo stato di terrore non è più prorogabile oltre. Sbagliato è stato semmai sin da aprile non aprire pian piano scuole e uffici pubblici, abituando la gente a una normalità riguardosa e consapevole dei limiti imposti dal virus. Logico che se apri le porte di un ambiente in cui si soffocava, tutti si accalchino all'uscio. Non è mostrando facce digrignanti o, peggio, stillanti disprezzo verso la gente comune che cerca di allargare i polmoni, che ci salveremo. Non è roba italica, da europei meridionali. Il giorno 16 chi scrive era in Friuli. Era il primo giorno in cui l'Austria, che non ha il mare, ha aperto i confini. Gli austriaci hanno monti innevati, laghi e ruscelli dalle acque chiare. Eppure arrivavano come se si fosse aperta una diga. Quindi sono arrivati dal Veneto e dalla Slovenia. E la disperazione dei ristoratori e dei commercianti si è allargata in un lieve sorriso. Sapete che diciamo ai teorici del lockdown perenne? Con misura, con la mascherina, ma andate tutti a quel Paese.