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Pietro Senaldi, quelli che odiano l'Italia: "Il Nord Europa non ci aiuta perché non crede a Giuseppe Conte"

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Prestereste dei quattrini a un signore che ha più soldi in banca di voi ma che sta per fallire perché da cinquant' anni vive al di sopra delle proprie possibilità e per continuare a farlo si è già indebitato con mezzo mondo soltanto perché abitate nel suo stesso condominio? Gli credereste se, per ottenere ulteriore credito, vi promettesse di cambiare vita e seguire l'esempio virtuoso degli altri condòmini? Questa è la storia del rapporto tra l'Italia e l'Unione Europea. Conte si era illuso che il fatto che il nostro Paese abbia avuto più vittime di Covid-19 degli altri avrebbe indotto la Ue ad aprire i cordoni della borsa immediatamente e senza fare questioni, possibilmente senza neppure indagare troppo su come utilizzeremmo i soldi. Come Alice nell'Unione delle Meraviglie, il nostro premier attendeva la manna dal cielo. 

 

Trentasei miliardi dal Mes per la sanità, 150-170 dal Recovery Fund per far ripartire l'economia, 20 dal Sure per la cassa integrazione. Se arrivassero, non saprebbe come spenderli, però ne parlava agli italiani come se già li avesse in tasca. Ci hanno pensato i suoi pari grado europei a toglierlo dall'imbarazzo di cosa fare di tutti questi soldi, prima diminuendoli, poi differendone l'elargizione, infine sottoponendola a tali e tante condizioni da renderla difficoltosa e improbabile. Conte ha organizzato gli Stati Generali dell'Economia, ha invitato la Commissione Ue, si è fatto fare i complimenti dalla presidente Von der Leyen, quindi ha teso la mano, ma l'obolo gli è stato negato. Ai quattro Paesi considerati frugali - Austria, Danimarca, Olanda e Svezia - si è aggiunto il no della Finlandia. Così il vertice di venerdì sul piano economico d'intervento per superare la crisi da Covid-19 si è concluso con un nulla di fatto. Non sapremo quanti soldi avremo né quando né a quali condizioni. Sappiamo però che saranno meno del previsto. In piena pandemia, l'Europa aveva promesso un trilione e mezzo di euro, poi sceso a 700 miliardi e già nuovamente ridimensionato a 500. Non tutti per noi, beninteso, ma da dividere tra i 27 Stati membri. 

A QUALI CONDIZIONI
Se la cifra ancora non si conosce, si sa però che è lontana dall'arrivare. La somma va raccolta sul mercato, attraverso gli eurobond, e l'operazione ha tempi lunghi. Fino al 2022 vedremo solo briciole. Per averle poi, dovremo sottostare alle condizioni che la Ue ci imporrà. Non basterà promettere riforme, dovremo fare quelle che ci chiedono; e dettagliarle bene, con tempi, modi, cifre. Un'impresa che va oltre le possibilità del nostro governo, che ci impiega tre mesi a pagare le casse integrazioni e ancora non è in grado di decidere quando, a settembre, potranno riaprire le scuole. Insomma, lassù in Europa, qualcuno non si fida di noi e tutti ci faranno le pulci. Difficile dare torto a chi ci critica finché ci presentiamo a Bruxelles con Conte e i nostri due emissari presso la Ue sono sua lentezza Paolo Gentiloni, commissario al nulla, e David Sassoli, un bravo ragazzo con un'ottima dizione, ma non uno statista. Per intendersi, sempre meglio questi due della Mogherini. Il ragionamento che fanno i terribili Paesi nordici nei nostri confronti è semplice: in Italia il convento è povero ma i frati sono ricchi, e questo nonostante l'emergenza Covid-19, visto che proprio nei mesi della pandemia i depositi bancari sono aumentati di 107 miliardi, fino a raggiungere la cifra stratosferica di 1648 miliardi. È un gruzzolo sul quale l'Europa, prima di venirci in soccorso, pretende che il nostro governo cali l'accetta con una super patrimoniale. 

 

ERRORE DIPLOMATICO
Il premier ha fatto un grave errore diplomatico, presentandosi al vertice Ue senza il voto del Parlamento, che tradizionalmente dà la benedizione al governo prima di ogni consiglio europeo importante. Così ha trasmesso all'estero un'immagine di debolezza personale e di sfilacciamento del quadro politico che ha peggiorato ancora di più il giudizio dei Paesi nordici nei nostri confronti. Abbiamo dato l'impressione di non poter prendere impegni perché mancano le condizioni politiche per portare avanti qualsiasi cosa. A remarci contro poi non sono soltanto gli Stati del Nord Europa. Anche quelli dell'Est non si fidano della maggioranza giallorossa. Sono nazioni con un debito pubblico largamente inferiore a quello italiano ma che hanno un reddito pro capite che è del 60-70% rispetto al nostro e non sono in umore di farci regali; anche perché non nutrono particolari simpatie per la maggioranza giallorossa. 

Feroce a riguardo l'ultima battuta del premier austriaco Kurz sul professor Giuseppe: «Perché dovremmo dare soldi all'Italia, che poi li spreca in bonus vacanze?». Sembrano banalità, ma all'estero proprio non digeriscono la politica delle mance e dei sussidi a pioggia della quale il governo ha fatto la sua principale, se non unica, cifra politica. Conte reagisce alle avversità minacciando che, se l'Europa ci metterà i bastoni tra le ruote, lui restituirà la pariglia, esercitando il diritto di veto sull'attuazione del piano di rilancio europeo. Il ruggito del coniglio. Le sue minacce sono un'arma spuntata. Da vent' anni cresciamo meno di tutti, non abbiamo fatto una sola riforma, ci parliamo addosso, abbiamo un governo condannato all'immobilismo e un tessuto istituzionale compromesso e irredimibile. La sensazione è che se ci togliessimo dai piedi, almeno 15 dei 27 Paesi dell'Unione tirerebbero un grande sospiro di sollievo. E questo indipendentemente da chi ci sia a Palazzo Chigi. 

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