Pietro Senaldi dà ragione a Beppe Sala: "Basta lavorare da casa o non ci sarà la ripresa"
Bravo Beppe Sala. Per una volta il sindaco di Milano si è ricordato di essere un ex manager e non il portavoce di una nave delle ong o il titolare della filiale di zona Brera delle sardine. Ha riscoperto lo spirito operoso del capoluogo lombardo e ha dichiarato chiusa l'esperienza del lavoro da casa per i dipendenti comunali. «È stata una cosa straordinaria, ora basta restare chiusi nella grotta, la città deve ripartire, tornare in ufficio tutela l'occupazione di chi rientra e aiuta il commercio, chi lavora dal salotto lo fa a suo rischio, lo stipendio non è certo per sempre».
Il tema lo aveva lanciato, proprio dalle pagine di Libero, a inizio settimana, il professor Pietro Ichino, dichiarando che per certi dipendenti pubblici il cosiddetto smart working era stato solo una lunga vacanza retribuita al cento per cento. Il giuslavorista elencava, a titolo di esempio, proprio le amministrazioni comunali e regionali, oltre alla motorizzazione e a chi lavora per università, scuole e fisco, e si chiedeva come mai lo Stato non avesse messo in cassa integrazione questo esercito di inoccupati, risparmiando quattrini con i quali si sarebbero potuti premiare, tra gli altri, medici e infermieri. Il ragionamento, di banale realismo, ha scatenato un pandemonio, provocando l'ira di sindacati e impiegati pubblici.
Sala, a suo merito, non ha prestato orecchio alle sirene sinistre che troppe volte l'hanno portato fuori strada. Tra un anno si vota e in città c'è molto malcontento per le inefficienze comunali che il Covid-19 ha amplificato. Prendere appuntamenti agli sportelli è impossibile, le pratiche edilizie sono bloccate, l'anagrafe va a rilento.
SI PUÒ FARE DI MEGLIO
Il sindaco, dopo la riapertura, si è occupato solo di disegnare improbabili piste ciclabili che hanno paralizzato il traffico, e peraltro ha anche ammesso che non gli sono venute bene e poteva fare di meglio. Considerato che i suoi predecessori di centrodestra, Albertini e Moratti, hanno programmato grattacieli, metropolitane, parchi e l'Expo, il paragone tra l'amministrazione di ieri e quella di oggi è ingeneroso. Se Milano vuole restare una città internazionale e un'eccellenza del Paese, non può restare a casa. Il lavoro da remoto ti rende periferico e l'esempio principe arriva dal Parlamento, estromesso da qualsiasi decisione dal premier presenzialista, in tv e nel Palazzo. Come spesso accade, dal capoluogo lombardo arriva il primo impulso. È auspicabile che l'esempio venga seguito.
I dipendenti pubblici che non vogliono rientrare hanno affossato due settori già in coma, giustizia e scuola. Nei tribunali negli ultimi mesi si è svolto meno del 25% delle udienze programmate e quelle che non si sono tenute, tranne in rari casi, sono state rinviate al 2021, se non al 2022. La recente scarcerazione del criminale Massimo Carminati per scadenza dei termini di custodia cautelare, in quanto i magistrati non hanno scritto in otto mesi di tempo il provvedimento che motivava la sua detenzione è solo uno dei tanti casi del virus del lassismo pubblico, effetto collaterale del Covid-19.
STOP AL LASSISMO
Un altro è la figuraccia della scuola italiana, che è rimasta chiusa più di tutte le altre al mondo ed è tra le pochissime a non aver nemmeno provato a ripartire. La ragione non è la prudenza ma il fatto che il mondo dell'istruzione è nelle mani dei sindacati, dai quali il governo si è lasciato intimidire; a differenza di quanto è capitato alle aziende private, che Landini e compagni hanno cercato di sabotare con la norma che rendeva gli imprenditori responsabili di ogni eventuale contagio che si fosse sviluppato sul posto di lavoro. Ieri Sala ha battuto un colpo, il sindaco di Bergamo Gori ne ha battuto un altro dichiarando Zingaretti, eccessivamente sbilanciato a sinistra, inadeguato e troppo poco pragmatico per guidare la sinistra. Sono tutti segnali che l'inconcludenza di Conte e la sua politica di sussidi comincia a infastidire anche i progressisti.