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Stati generali, Fausto Carioti demolisce Giuseppe Conte: “Bellezza, verde e pochi soldi. Un piano fuffa”

Fausto Carioti
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Sul pratone assolato di villa Pamphilj, in cima alla scalinata che fronteggia il Casino (sic) del Bel Respiro, un gruppo di ultrà ecologisti manifesta contro l'emergenza climatica. Sono convinti che l'estinzione sia alle porte e occorra intervenire subito. Potevano restare a casa o andare per margherite: la speculazione e lo statalismo post-Covid sono ecocompatibili e decarbonizzati, quei fricchettoni hanno già vinto e nemmeno lo sanno. Cento metri più in là, dentro alla palazzina, sede di rappresentanza del governo scelta dal "Re Sola" Giuseppe Conte come versione casareccia dei giardini di Versailles, ogni cosa procede secondo copione. A ennesima conferma dell'inutilità della kermesse. Iniziando dal nome: gli «Stati generali dell'economia», così come li intende Conte, hanno poco o nulla a che fare con l'economia, quella vera. C'entrano molto, invece, con l'assistenzialismo e il luogocomunismo di sinistra. È lo stesso presidente del consiglio ad annunciarlo, nel discorso con cui dà il via agli otto giorni di esibizioni, una sorta di settimana della moda in giallorosso nella quale l'unica modella è lui e lo stilista si chiama Rocco Casalino.

 

 

Le idee che indossa il premier sono in stoffa riciclabile, prese dal campionario progressista, sempre le stesse. Con l'aria di chi sta per fare la grande rivelazione, Conte apre la sfilata annunciando che le «linee strategiche» da lui scelte per la ripartenza sono la «modernizzazione del Paese», che detta così non vuol dire nulla (conoscete qualcuno contrario?), la «transizione ecologica» e la «inclusione sociale, territoriale e di genere». Tradotto in pratica, spingere sulla «transizione ecologica» significa aumentare gli incentivi per le fonti di energia rinnovabili (che a famiglie e imprese già costano 11 miliardi di euro l'anno) e per l'acquisto di monopattini e biciclette elettrici (soldi che vanno alle industrie cinesi, massime produttrici mondiali di Co2). Nonché penalizzare la plastica monouso, con la quale sono fatti i bicchieri (made in Italy, siamo leader in Europa) e i guanti che ci stanno proteggendo dal virus.

ALTRE IMPOSTE
Quanto alla «inclusione sociale e territoriale», è la parola d'ordine usata per accompagnare le imposte «di solidarietà» che impoveriscono il ceto medio a vantaggio degli altri e tolgono soldi al Nord per regalarli al Sud. Mentre la «inclusione di genere» serve a imporre altre quote rosa e far passare leggi come quella contro la «omotransfobia», pronta per essere votata in parlamento. Il solito minestrone progressista, dunque, che a tutto serve tranne che a far marciare il Pil. Immancabili la promessa di «non sprecare nessun euro» e il momento elegiaco, repertorio obbligato di ogni premier italiano chiamato a esibirsi dinanzi alla giuria europea. «Vogliamo investire sulla bellezza del nostro Paese», ha detto Conte al termine della prima giornata di "lavori", se così si possono chiamare. E la domanda è se per fare gli scolaretti, declamare che l'Italia è bella e ripetere slogan triti sullo sviluppo equo e solidale c'era bisogno di tenere fermo il Paese per altri otto giorni e costringere centinaia di uomini in divisa, tra cui artificieri della polizia, celerini, reparti a cavallo e uomini della Mobile, a bonificare e tenere sotto controllo per tutto questo tempo un intero quadrante di Roma. Poteva dare indirizzi diversi, il premier? Certo che sì. Avrebbe potuto annunciare un grande investimento contro la denatalità, anziché continuare ad appaltare il problema all'importazione di nuovi immigrati. Avrebbe potuto dire che il governo intende incentivare la concorrenza: è questa, non l'intervento dello Stato, che rende forti le imprese e crea ricchezza. Avrebbe potuto avvertire i tanti nullafacenti annidati a tutti i livelli della pubblica amministrazione, inclusi gli istituti scolastici e i palazzi di giustizia, che l'Italia non può ripartire se deve trascinare zavorre come loro, e dunque o cambiano subito o si trovano un impiego altrove. Avrebbe potuto invitare imprese, sindacati e opposizione a scrivere insieme un sostanzioso taglio delle tasse, senza il quale i capitali nazionali continueranno a scappare, e quelli stranieri a tenersi alla larga da noi. Avrebbe potuto e dovuto stupire gli italiani, insomma: quando, se non ora che stiamo messi così?

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