Renato Farina contro gli statali: vogliono restare a casa con il buono pasto
Forte protesta sindacale in Liguria. Qualcosa di epico sta accadendo tra le pieghe della tragedia del Covid. Ne siamo venuti a conoscenza con grave ritardo, e ci scusiamo. Non è colpa nostra: è proprio vero che le ferite più profonde se ne stanno nascoste per la timidezza o forse il pudore di chi non vuole esibirle. C'è stata una fuga di notizie e subito abbiamo rivisto sfilare davanti ai nostri occhi la folla proletaria commovente e immortale del "Terzo Stato" di Pellizza da Volpedo. Quei volti segnati dalla fatica dei lavoratori dei campi e delle officine, le barbe lunghe e il passo deciso, in prima fila la giovane madre che tiene in braccio il bambino affamato sono letteralmente usciti dal quadro. Pane e lavoro.
Ecco, in Liguria, nella Pubblica amministrazione, siamo tornati a queste battaglie primordiali, come non se ne vedevano dai tempi della situazione tremenda degli operai delle malsane fabbriche di Manchester raccontate da Karl Marx nel capitolo 8° del primo libro del Capitale. Ah se fosse ancora tra noi il vecchio Marx, certamente scriverebbe un Post Scriptum, un'appendice per raccontare la spaventosa condizione dei dipendenti della Regione Liguria. C'è di mezzo il pane, e forse anche il salame. È una battaglia che segnerà la storia: il buono pasto!
L'ATTREZZO CARTACEO
Questo magnifico attrezzo cartaceo nacque per consentire ai dipendenti - in assenza di mensa aziendale - di usufruire di un rimborso per il fatto di non poter pranzare in casa. Si sa: mangiare fuori è più caro. Oltretutto sono soldi veri e su cui non pesano oneri né sul lavoratore né sulla ditta. Molti li tengono da parte per far la spesa al supermercato o spostarsi con la famiglia la domenica in una trattoria alla buona, una volta al mese. Le lasagne e la cotoletta si gustano di più perché sembrano gratis. Ed ecco il trauma, il colpo di karate alla nuca. Dei 1500 dipendenti della Regione Liguria, 1230 hanno lavorato da casa a partire dal 9 marzo. Qualcuno sostiene che molti, più che scalmanarsi a lavorare, abbiano imitato il mitico letargo dell'Ursus Speleus, che nelle grotte di Toirano, nell'entroterra di Pietra Ligure, in epoche remote lasciò tracce del suo doveroso riposo. Ma sono malizie che sempre accompagnano, come luogo comune, le prestazioni dei dipendenti pubblici. Non è smart-working, sia chiaro, quello sarà regolato contrattualmente: contempla modalità nuove di presenza sul lavoro, prevede obiettivi da raggiungere, include riunioni de visu eccetera.
In questo caso era puro "lavoro da remoto". La Regione Liguria, datrice di "buoni pasto", ha applicato la legge in vigore nella Pubblica amministrazione e la logica elementare. Se stai a casa, che diritto hai al buono pasto? È come il rimborso di viaggio. Se non viaggi che ti rimborso? Dunque circa sei euro al giorno per 1.230 dipendenti restano in cassa a Genova. Giovanni Toti e la sua giunta (centrodestra) si sono a questo punto trovati davanti la proposta del vice-capogruppo M5S in consiglio regionale, Fabio Tosi. Prima ha confermato: «Da norme vigenti (per la Pubblica amministrazione), la modalità "lavoro leggero" non permette la maturazione del diritto a ricevere buoni pasto. Come verranno allora utilizzati quei fondi? Propongo servano all'acquisto di beni di prima necessità per le fasce più deboli della popolazione, individuando al meglio i destinatari previo confronto con le organizzazioni sindacali». Ah sì? Le organizzazioni sindacali dei dipendenti regionali hanno individuato subito le fasce deboli a cui destinare viveri di prima necessità. E chi saranno mai in Liguria i bisognosi del Covid, i poveri presi alla gola dal virus? Forse i salariati del settore privato, specie del turismo, che attendono la cassa integrazione (80 per cento dello stipendio)? Magari negozianti e artigiani, ristoratori e parrucchiere, che hanno chiuso bottega e difficilmente la riapriranno? Ma no. I sindacati hanno scelto. Sono proprio i dipendenti regionali i poverelli con la mano tesa. Lo reputano un diritto.
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LE PROTESTE
Da qui le proteste che li vedono in trincea per la battaglia della bistecca con contorno, una bevanda a scelta, caffè compreso, magari con qualche carciofino sott' olio. I sindacati vogliono, insomma, in deroga alle norme e al buon senso citate dal consigliere grillino, che quei sei euro al giorno rimasti nelle casse regionali volino dritti e profumati di pesto nelle povere bocche di chi se n'è stato a casa, sicuro del posto pubblico, senza spese di viaggio e di vitto forestiero. Insomma ai gloriosi 1.230 eroi del lavoro leggero, molto leggero. A quanto ammonta il tesoretto ligure del fiero pasto (dal 9 marzo al 1° giugno)? 61 giorni lavorativi x 6 euro x 1230 stipendiati = 450.180. Fanno 366 euro a dipendente della Regione. O un aiuto di mille auro in bene primari a 450 famiglie disastrate. Ammettiamolo. Se fossimo tra i 1230 staremmo dalla parte dei loro sindacati cioè del proprio conquibus. Siccome non siamo tra loro, optiamo per la solidarietà ai poveri, da bravi italiani.