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Lombardia, coronavirus e zone rosse: perché ora i magistrati devono indagare Giuseppe Conte

Antonio Socci
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Dopo giorni di attacchi giornalistici e politici al governatore lombardo Fontana, venerdì è arrivata una doccia fredda per i suoi critici. Si tratta dell'importante dichiarazione del procuratore aggiunto di Bergamo, Maria Cristina Rota, la quale - a proposito della mancata chiusura dei comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro (ai primi di marzo) - ha dichiarato che l'istituzione di una zona rossa «da quello che ci risulta è una decisione del governo». Curiosamente ieri, su molti giornali, una dichiarazione così importante ha avuto poco (o nessun) rilievo. Eppure sono parole molto significative perché coincidono con quanto ha sempre sostenuto il governatore lombardo Fontana («era pacifico che fosse una decisione che spettava al governo, visto che aveva già inviato l'esercito in quelle zone»). Del resto proprio dal governo era già stata presa, pochi giorni prima, la decisione di chiudere le zone rosse attorno a Codogno e Vò euganeo. Nessuna regione aveva assunto quelle misure.

 

 

La dichiarazione del procuratore è arrivata al termine della giornata di venerdì quando il procuratore ha interrogato proprio Fontana nell'ambito della sua inchiesta che per ora non ha indagati. Secondo le indiscrezioni adesso potrebbero essere interrogati anche i ministri Speranza e Lamorgese e pure il premier Conte. L'unico giornale di area governativa che ha dato risalto alle parole del procuratore è stato Il Fatto quotidiano che ha titolato: «La pm ha già "assolto" Fontana, ma la legge smentisce tutti e due». Il giornale sostiene infatti che in base alla legge 883 del 1978 «gli enti locali hanno lo stesso identico potere di Palazzo Chigi» e «a dimostrazione del fatto che le Regioni possono agire senza aspettare il governo ci sono diverse misure restrittive adottate negli ultimi mesi dai governatori». Tutto questo però è avvenuto solo dopo l'8 marzo, cioè dopo il lockdown della Lombardia e poi dell'intera Italia, e - presumibilmente - sempre in accordo col governo che infatti quando non era d'accordo si è opposto, come nel caso delle Marche, quando impugnò - a fine febbraio - l'ordinanza del governatore di chiudere le scuole.

COSÌ PARLÒ BOCCIA
Del resto è stato il governo stesso a sottolineare esplicitamente certe sue prerogative nell'emergenza Covid. Sembra che tutti lo abbiano dimenticato, ma proprio il 4 marzo - esattamente nelle ore in cui si stava discutendo della chiusura dei due comuni bergamaschi - nella sede più solenne, la Camera dei deputati, il ministro per gli Affari Regionali, Francesco Boccia, espose la dottrina del governo in materia e - se si ascoltano oggi le sue parole - suonano coincidenti con la dichiaratore del procuratore di Bergamo (e con quanto ha sempre sostenuto Fontana). Il testo dell'intervento del ministro alla Camera (il video è anche nel sito del Fatto quotidiano) è riportato nel sito del governo con questo eloquente titolo: «Il ministro Boccia: "Quando c'è un'emergenza nazionale decide lo Stato"».

Il ministro disse testualmente: «La nostra Costituzione non prevede una clausola di supremazia e non sancisce in alcun modo la preminenza dello Stato sulle Regioni, però il complesso delle norme vigenti ci consente di dire con chiarezza che in caso di emergenza nazionale decide lo Stato, anzi se permettete, comanda lo Stato. Le competenze esclusive statali in tema di prestazioni e di profilassi internazionale sono disciplinate dall'articolo 117, comma secondo lettera M della Costituzione». Boccia aggiunse: «Già da tempo la Corte Costituzionale ha chiarito che le ordinanze contingibili e urgenti hanno natura semplicemente di atti amministrativi, mentre la competenza si radica su livelli inferiori fino a quando questi sono considerati adeguati. Spetta allo Stato quindi quando il livello regionale per intensità o estensione non possa ritenersi tale. È evidente che nel caso di Covid 19, trattandosi di una epidemia a carattere transnazionale, il livello adeguato per le misure di contrasto non può essere che quello statale. Lo dico perché è necessario sottolineare come la Corte Costituzionale ha da tempo precisato che anche nelle materie di competenza concorrente, tra le quali è compresa la tutela della salute, lo Stato nel caso di inadeguatezza da parte delle Regioni può avocare a sé la funzione legislativa. Ricordo all'Aula - ha concluso - le sentenze 303 del 2003 e numero 6 del 2004 e la sentenza 246 del 2019».

IL GIALLO DEL 4 MARZO
Dunque, dice il ministro, «in caso di emergenza nazionale decide lo Stato, anzi se permettete, comanda lo Stato». Queste parole venivano pronunciate proprio nelle stesse ore in cui il governo stava predisponendo la zona rossa per Alzano e Nembro. E proprio Il Fatto quotidiano, ieri, ha riportato particolari inediti di quello che accadde: «Poche ore, anzi pochi minuti e due telefonate. Tanto è bastato al governo per tornare sui propri passi e decidere, dopo averla disposta, di non istituire più la zona rossa attorno ai comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro. Nessun documento scritto, solo ordini a voce». Il Fatto ricostruisce anche un «particolare inedito» in base alla «testimonianza di chi in quei primi giorni di marzo aveva il compito di approntare i check point nelle aree della zona rossa. L'interlocutore ai vertici di comando è il ministero dell'Interno».

Dunque Davide Milosa, sul Fatto, riferisce che (proprio come ha sempre ripetuto il governatore Fontana) «il 4 marzo militari e forze dell'ordine sono stati inviati sul posto e alloggiati in alberghi della zona. In quel momento il piano è di procedere. La fonte interpellata dal Fatto assicura che in quelle ore erano già stati predisposti i check point. Circa cento in tutta la zona. Con l'ordine di partire - ci viene spiegato - saremmo andati a regime in pochissime ore, ma così non è stato». Secondo il Fatto, «il perché sta in una seconda telefonata di stop arrivata tra sabato 7 e domenica 8 marzo sempre dal Viminale e sempre senza atti formali. Da lì a poche ore il Dpcm avrebbe istituito la zona rossa in tutti i comuni della Lombardia».

Solo che tra il 4 marzo, data in cui «militari e forze dell'ordine sono stati inviati sul posto e alloggiati in alberghi della zona», pronti ad andare «a regime in pochissime ore», e la sera dell'8 marzo sono passati alcuni giorni, non proprio pochi. Perché? È a Roma, nei palazzi governativi, che potranno spiegare il motivo di quella marcia indietro. Resta il fatto che le parole pronunciate dal ministro Boccia alla Camera e la notizia delle forze dell'ordine già mobilitate per bloccare la zona rossa, confermano quanto dichiarato dal procuratore di Bergamo (e confermano quanto aveva sempre detto il governatore Fontana).

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