Antonio Socci su Maurizio Landini: "Sinistra allo sbaraglio, puntano su di lui per comandare senza voti come Conte"
Ad investire Maurizio Landini, leader della Cgil, come nuova stella polare del firmamento della sinistra (per i prossimi mesi) è stato, domenica scorsa, Eugenio Scalfari. Non si sa quanto possa portargli fortuna, ma in effetti c'è un'operazione politica in corso su Landini nei Palazzi del potere e dopo ne vedremo il perché (Scalfari deve averla orecchiata e ci ha messo il cappello sopra, come suo solito, anticipando tutti). Il suo lancio è concomitante all'appannamento dell'ultimo mito politico scalfariano: Giuseppe Conte. Lo si evince proprio da quest'ultimo editoriale scalfariano che è ormai un divertente genere letterario simil-dadaista, per le parole in libertà, ma che lascia sempre trapelare gli umori dei Palazzi.
Dunque domenica (per la parte simil-dadaista) il Fondatore ci ha rivelato che «la storia moderna ha inizio ai tempi di Dante e dello Stil novo» (ma perché?) e «ha avuto personaggi assai variegati. Quindi la situazione di Conte non è affatto una novità: sono passati mille anni dallo Stil novo e l'Italia ha ballato». Che vorrà dire? Non saprei. A parte la fantasiosa cronologia (il «dolce Stil novo» si sviluppa attorno al 1300: sono 700 anni, non mille), cosa c'entrano Guinizzelli, Dante e Cavalcanti con l'avvocato foggiano? E cosa avrebbe «ballato» l'Italia? Boh. Surreale è anche il seguito. Dopo aver descritto le decisioni dello stesso Conte sull'emergenza Covid e sul presunto «rilancio» dell'economia, Scalfari conclude: «Ma Conte è anche sensibile a rilanciare le canzoni e gli inni d'un tempo, a cominciare da Mameli e perfino da Manzoni». Non si sa cosa c'entri il Manzoni che poi finisce addirittura nel titolo. Ma l'editoriale - dicevo - fa registrare un certo cambiamento di umore su Conte. Per capirlo bisogna ripercorrerne la parabola. L'8 luglio 2018, quando Conte era premier del governo gialloverde, Scalfari - dopo alcuni apprezzamenti personali - lo raffigurava nelle mani di Salvini e Di Maio come «un gentile e ben rappresentato burattino, i cui fili sono mossi dai due burattinai che se lo sono inventato».
DA BURATTINO A STATISTA
Poi, il 17 luglio 2019, mentre stava esplodendo il conflitto con Salvini e si preparava l'alleanza col Pd, Conte diventa - per Scalfari - uno straordinario statista: «Valutando il Conte di oggi non è affatto escluso pensare che ripeta in qualche modo le idee di Aldo Moro». Una volta diventato premier con lo schieramento opposto al precedente, Scalfari non si accontenta di averlo paragonato a Moro: va oltre e lo accosta addirittura a Cavour e poi a papa Francesco (2 maggio 2020). Non arriva ad innalzarlo fino alla divinità perché è ateo e nel frattempo il capo del governo ha manifestato i suoi enormi limiti: il malcontento nel Paese (e pure a Repubblica) sta crescendo. Così, sfiorata l'apoteosi, domenica scorsa Scalfari ridimensiona il giudizio: «non possiamo certo indicare Conte come un personaggio eccezionale», ma per Scalfari ha il merito di aver garantito e garantire la «stabilità» (ovvero l'establishment). «Per nostra fortuna» riprende il Fondatore «ci sono anche personaggi con altre funzioni ma con analoga modernità. Il più importante è Maurizio Landini, sindacalista e segretario della Cgil Conte apprezza il sindacalismo di Landini: due leader che operano in settori del tutto diversi ma con metodi molto simili e complementari l'uno rispetto all'altro».
MODERNARIATO ANNI '70
Sulla «modernità» di Landini la parola definitiva è stata detta da Maurizio Crozza che lo ha imitato come se si fosse addormentato negli anni Settanta e oggi si aggirasse con un vecchio gettone telefonico in mano mentre cerca una cabina per fare una chiamata. Ma leggendo l'editoriale di Scalfari veniva da chiedersi: Landini? E che c'entra Landini in questo discorso? Da dove salta fuori? Che significa? In effetti Scalfari non lo ha spiegato e la sua evocazione può sembrare solo una fra le tante cose surreali dell'articolo. Tuttavia non è stata affatto casuale o assurda l'evocazione di Landini. Scalfari deve aver orecchiato quello che bolle nei pentoloni dell'establishment della sinistra. Tutti conoscono ormai i limiti di Conte (che fra poco potrebbe avere il benservito). E tutti sanno che stiamo andando incontro a fortissime turbolenze sociali, con milioni di disoccupati e una crisi senza precedenti. Per scongiurare l'eventualità che siano gli odiati «sovranisti» a rappresentare questa enorme sofferenza sociale, stanno cercando di investire Landini del ruolo di paladino del popolo con il placet dell'establishment.
L'UOMO GIUSTO
I sindacati infatti - avendo legittimato l'Ue, i Trattati di Maastricht e l'euro, con questa globalizzazione - hanno di fatto coperto nel modo migliore (per l'establishment) questi venti anni di deflazione salariale, di disoccupazione indotta, di delocalizzazioni e di distruzione dello stato sociale (sventolando magari la bandiera «diritti civili» mentre era in corso la liquidazione dei diritti sociali). Ora la sinistra spera che i sindacati landiniani impediscano al malcontento italiano di guardare a destra. Dimenticano però che i sindacati stessi sono ormai percepiti come parte dell'establishment che ci ha portato a questo punto: non a caso molti iscritti alla triplice poi votano Lega o Fratelli d'Italia. In ogni caso Landini ieri, in un programma tv, ha dato la sensazione di immedesimarsi già nel ruolo di leadership. Ha infatti dichiarato che è il momento di rifare il Paese, ha parlato di «che Italia e che Europa vogliamo nei prossimi 15 o 20 anni» e ha elencato una serie di settori che vuole riformare.
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È prevedibile che sia in sintonia con la sinistra che vuole affrontare la crisi sociale facendola pagare ai soliti noti (cioè anzitutto al ceto medio), con patrimoniali e prelievi fiscali forsennati, con più immigrazione, più tagli e austerità, più Europa, più pressione punitiva, più assistenzialismo e più burocrazia. Esattamente il contrario di quello che occorre al Paese. Quello che però Landini e l'establishment dimenticano è che per «rifare il Paese» bisogna prima avere il mandato degli italiani, cioè occorre passare da quel «fastidioso» contrattempo che sono le elezioni. A meno che - in nome della lotta al sovranismo - non si voglia archiviare definitivamente la sovranità del popolo proclamata nel primo articolo della Costituzione. Alle più recenti elezioni - quelle europee del maggio 2019, un anno fa - La Lega ha ottenuto il 34,3%, Fratelli d'Italia il 6,4% e Forza Italia l'8,8%. Nel suo insieme il centrodestra ha raggiunto il 50 per cento. Mentre il Pd (22,7%) e il M5S (17,1%) insieme sono al 40%. Ciò significa che, com'è noto, l'attuale esecutivo è minoranza nel Paese. E - soprattutto in previsione di una fase storica durissima, con grandi sofferenze sociali - l'Italia ha bisogno di un governo che rappresenti davvero la maggioranza del Paese. In autunno si voterà per le regionali, quindi si potrebbe votare anche per le politiche. Non ascoltare il Paese sarebbe la scelta peggiore.