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Il cielo stellato fa le fusa il Decameron di Chiara Francini

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Il cielo stellato fa le fusa (Rizzoli,  pp.336, 18 euro)  di Chiara Francini è un libro con dentro tante storie. Leggerlo è come tuffarsi tra le onde di un mare mosso, si fa in tempo a riprendere fiato ed ecco che già s’intravede all’orizzonte un’altra onda pronta a travolgere. Il romanzo s’ispira al Decameron di Giovanni Boccaccio: otto sconosciuti, quattro ragazze e quattro ragazzi, si ritrovano a Fiesole per un fine settimana in un’incantevole villa circondata da un bosco. Un luogo perfetto per accogliere un convegno sul cibo e sulla bellezza. Ma accade che qualcosa (non si sa bene cosa: una pandemia? Un’improvvisa ondata di maltempo?)  costringe gli ospiti ad una quarantena. Come riempire il tempo? Come attraversare il presente che improvvisamente si è trasformato in una voragine che disorienta?

 Il gruppo fa la cosa apparentemente più semplice: racconta e si racconta consegnando un pezzo di sé agli altri. Tessera dopo tessera si compone il mosaico della vita che è fatta di sogni e delusioni, di orizzonti chiari e distesi ma anche di tante pieghe, imperfezioni, sbavature,  disarmonie. Nella settimana in cui si dipanano i racconti, il lettore entra in mille mondi: i narratori parlano di poeti e principesse, di malocchio, di madri coraggio, di poliziotti. E’ come stare su un’altalena che va avanti e indietro nel tempo, in alto e in basso nello spazio. Certi racconti sono poetici e leggeri che sembrano sospesi, ma poi ecco che con altri precipitiamo in basso, in quest’impasto meraviglioso e puzzolente che è la nostra vita.

Tutto accade sotto gli occhi della governante Lauretta che, <sbenedizionando a destra e a manca col mestolo disinvolto, la cucina sopraffina e la ciabatta lesta quanto la lingua>.  Ma soprattutto c’è lui, il gatto dal pelo fulvo, Rollone il Vichingo, che assiste allo svolgersi della commedia umana con uno sguardo felino, quella capacità di partecipare senza farsi troppo coinvolgere, di osservare con una distacco che non è mai indifferenza. È la giusta misura, quella di cui solo i gatti posseggono il segreto.  Non giudica ciò che vede o che ascolta, ma alla fine Rollone spiega che per curare e curarsi l’uomo <deve imparare a guardarsi tutto, senza perdere nulla, deve imboccare le carni, e, soprattutto, idratare i pensieri. Deve vedersi nell’altro. Deve essere “un guaritore ferito”. Mi pare lo dicesse Gadamer. Curare vuol dire palpare, tastare il corpo con le zampe, pardon le mani, in modo da percepire il malessere o la fonte del dolore>.  

Si arriva alla fine del libro convinti di aver letto una fiaba, ma il saggio Rollone ci scuote e ci dice che quella che abbiamo appena letto è la favola che ciascuno di noi può scrivere, se vuole: quella della propria vita. La scrittura di Chiara Francini è come lei: si apre al mondo, fa ridere, fa riflettere, disegna parabole, traccia traiettorie.. Accelera e poi frena. La penna sul foglio scivola come un pennello sulla tavolozza e ne cattura tutte le sfumature. Consigliato a chi ha fame di vita. A chi ama stare sulle montagne russe delle emozioni e a chi vuole evadere dalla realtà rimanendo coi piedi per terra. 

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