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80 anni dopo Benedetto Croce: perché non possiamo non ritornare cristiani

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Appena celebrata la nascita di Babbo Natale (ormai è questo il concetto), consentiteci una breve riflessione sul rapporto tra fede e mondo laico.

Sono passati 80 anni dalla pubblicazione di un monumento cartaceo all’onestà intellettuale, il “Perché non possiamo non dirci cristiani” di Benedetto Croce, nel quale il laicissimo filosofo liberale riconosceva che “il Cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuto”.
Lontano dal costituire una professione di fede o una difesa della Chiesa romana, Croce rendeva il Suo merito a Gesù in termini puramente storico-culturali e filosofici.

Nel ’57, Bertrand Russel gli rispose con “Perché non sono cristiano” dove torna la decisamente non-originale critica alla “sessuofobia” dei credenti. Uno stucchevole refrain perché se il matematico britannico avesse approfondito qualcosa sulle mostruose devastazioni sociali e sanitarie procurate, per 450 anni, dalla sola sifilide, si sarebbe piuttosto infuriato coi preti perché non erano stati abbastanza sessuofobici.

Infinitamente più modesto il “Perché non possiamo essere cristiani, e meno che mai cattolici” (2007) di Piergiorgio Odifreddi la cui dichiarata ispirazione dice tutto sul livello interpretativo: “La critica al Cristianesimo potrebbe ridursi a questo: essendo una religione per letterali cretini, non si adatta a coloro che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo”.

Sarebbe invece il momento giusto per scrivere un altro saggio intitolato “Perché non possiamo non ritornare cristiani”, con il medesimo approccio laico di Croce, sia chiaro, dato che la fede è una scelta individuale e, per definizione, non si può imporre. Non il solito libro identitarista da annoiati intellettuali guenoniani di destra, piuttosto un saggio furiosamente emergenziale, dal sapore, ancora recente, di circolare sanitaria.

L’urgentissimo ripristino nella società laica del sistema di valori di eredità cristiana – e la loro difesa costituzionale - rappresenta oggi, non un’opzione, ma una strada obbligata, UNA NECESSITÀ INDISPENSABILE PER LA NOSTRA SOPRAVVIVENZA DAL PUNTO DI VISTA PSICHICO, FISICO, SOCIALE, SANITARIO, ETNICO, ECONOMICO, ANTROPOLOGICO, GIURIDICO E POLITICO.

Basti solo pensare all’arroganza con cui nel mondo della scuola avanzano nuove proposte aberranti come la “carriera alias”, dove ragazzi in piena età dello sviluppo dovrebbero “scegliere” a quale sesso appartenere. Il paradosso è che abbiamo subìto decenni di psicologismo d’accatto per condurci “ad accettarci per quello che siamo” e poi si inducono gli adolescenti a rifiutare il proprio genere sessuale.

Attenzione, stiamo andando a sbattere, e ci faremo molto male. Non possiamo qui enumerare le forme con cui i Sette vizi sono stati eletti, dalla società dei consumi, a modelli virtuosi, con conseguenti patologie, “addiction” e psicosi di massa. L’esibizionismo narcisistico; la sessualità anarchica e pervertita; la depressione endemica; la violenza immotivata; l’idolatria del cibo; l’invidia sociale e la brama di possesso; l’assolutizzazione del denaro, con tutto quello che da queste storture capitali consegue: la manipolazione chirurgica del corpo; la corruzione dei giovani; l’attacco all’infanzia e alla famiglia naturale; la privazione di libertà e diritti fondamentali; lo stupro del linguaggio; la promozione dell’ignoranza, del lassismo e di una degradante inversione in ogni ambito; il controllo delle menti, con pensiero unico, cancel culture, dirittismo compulsivo, distruzione del pensiero logico e le raccapriccianti, faustiane istanze del Transumanesimo.

Si è passati da un semi-innocuo ribellismo adolescenziale anni ’70 verso i valori cristiani, a un isterico rigetto “da indemoniati” con il loro conseguente smantellamento organizzato; ma la realtà dimostra che ovunque si agiti lo “spirito che nega”, c’è solo follia, morte, schiavitù, demenza e autodistruzione.

Qualcuno dirà che nella società multietnica di oggi, rimettere al centro i valori cristiani è impensabile, ma si dimenticano le auree regole elementari dell’ospitalità: “paese che vai, usanze che trovi”. Questa è la nostra terra, la nostra eredità, la nostra cultura bimillenaria: lo straniero che non le gradisce è libero di prendere un biglietto aereo o ferroviario e recarsi dove si trova più a suo agio, o, meglio ancora, di tornare nella sua terra. Regole ovvie, molto ben radicate nei loro paesi di origine, che è molto importante ribadire in senso assoluto per trovare un equilibrio nel circo babelico-emozional-egoico di accoglienza compulsiva che è ormai recepito - complice la falsa chiesa liberal progressista antipapale - come dogma assoluto.

Senza il Cristo della Tradizione - anche laicamente inteso - ci aspetta l’Uno-dio massonico-mondialista, annunciato candidamente dal Gran Maestro Giuliano Di Bernardo: “Arriveremo a un punto in cui ci sarà una sola società su tutto il pianeta Terra e allora chi la governerà? Non potrà essere la democrazia, con tutte le sue debolezze e contraddizioni”.

Chiaro, no? La nullificazione materialista degli individui soppianterà definitivamente l’algoritmo supremo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, cioè la realizzazione del singolo in armonia con i vicini, i prossimi, appunto, non genericamente gli "altri".

Non importa che si creda in Dio per recuperare un sistema sopravvivenziale dal punto di vista fisico. I frutti velenosi e marci della società agnostica e secolarizzata, bastano da soli a dimostrare che ripristinare nella vita civile i valori cristiani (tradizionali, non la presente caricatura inversiva antipapal-bergogliana) vuol dire riappropriarsi dell’unico sistema che consente di salvarsi, in tutti i sensi, almeno a livello materiale. Alternative valide non sono state prodotte, ed ora non c'è più tempo per altri esperimenti 

O torniamo culturalmente, laicamente cristiani, o sarà la fine.

 

 

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