Il Cav voleva rottamare il Pdlma i colonnelli lo hanno fermato
Berlusconi si è rassegnato a tenersi il partito (per ora). La novità: il presidenzialismo a doppio turno
«Questo me lo domando anch'io…». Silvio Berlusconi arriva al Sofitel, dove si sta per svolgere il vertice dei capi di governo e dei leader politici che aderiscono al Ppe. Nella hall c'è una siepe di microfoni e il Cavaliere si ferma per fare dichiarazioni. Partito, alleanze, Montezemolo, Grillo: solita roba. Finché non arriva il domandone: «Presidente, resterà in campo?», fa l'inviato dell'Ansa. Attimo di riflessione. «Questo me lo domando anch'io», risponde l'ex premier con un sorriso enigmatico. E se ne va. Panico, paura: le parole dell'ex premier da Bruxelles rimbalzano in Italia e sono la prima notizia dei siti internet. C'è chi legge delusione nella mimica del Cav, chi realismo, chi sarcasmo. La verità? È che davvero Silvio non sa che pesci prendere. Fino a martedì pomeriggio voleva radere al suolo il Pdl. Cambiargli nome, trasformarlo in una federazione di più partiti fratelli, dargli una nuova classe dirigente. Poi a Palazzo Grazioli è cominciato il pellegrinaggio, da Angelino Alfano ai coordinatori fino ai capigruppo. Tutti con l'intenzione di dissuadere il capo. Risultato: lo hanno convinto. Più per sfinimento che per la bontà delle motivazioni. Sicché Berlusconi è arrivato nel pomeriggio a Bruxelles senza la carta da giocare a sorpresa. O meglio, ha spiegato che il predellino 2012 non è un nuovo partito (come fu cinque anni fa) ma una nuova battaglia politica. Mentre in Italia Alfano fissava il countdown («Quarantott'ore») per rivelare “la novità”, qui Silvio ha fatto capire di che si tratta: «Una proposta di riassetto istituzionale che modificherà la Costituzione e che riguarderà anche la riforma elettorale». Con i colleghi leader europei Silvio è stato più circostanziato. Ha fatto capire che il modello a cui ammicca il Pdl è il semi presidenzialismo alla francese, con una legge elettorale che preveda due turni nel caso nessuno dei candidati superi il 50 per cento al primo colpo. Ma Berlusconi, al tavolo del Ppe, è stato anche sincero sulla fattibilità della cosa: «Difficilmente il Pd si presterà a una riforma del genere», perché Bersani e compagni sentono troppo vicina la vittoria per andarsi a complicare la vita con un sistema tutto nuovo. E va be'. L'uomo di Arcore però ci vuole provare anche per distogliere i suoi dalla quotidiana rissa interna al partito. Ma soprattutto per imporre, attraverso il cambio della forma di governo, anche una accelerata all'unione dei moderati. Casini non ci sta ed era anche assente al vertice Ppe perché impegnato in America con l'Internazionale democristiana: «Aiutatemi anche voi a convincerlo», si è appellato agli altri leader della comune famiglia politica, «altrimenti finiremo per consegnare l'Italia, un Paese a maggioranza moderata, in mano alle sinistre». Quanto a Montezemolo, Silvio è stato molto tiepido. Ai soci del Ppe ha parlato anche di lui: «Gli consigliai di lasciar perdere la politica», ricorda. Oggi che Luca Cordero sembra pronto alla discesa in campo, Berlusconi nega corteggiamenti («L'ho incontrato una sola volta»), ma sostiene che la sua collocazione naturale non può che essere «con i moderati». Già che si trova in trasferta a Bruxelles, Berlusconi dà anche un po' di consigli per rilanciare la crescita: «Per risolvere il problema della disoccupazione ho proposto che ogni impresa europea, e sono 23 milioni, assuma un giovane». Non solo: per far quadrare i conti italiani Silvio sostiene che andrebbe sommato, al Pil emerso, anche quello sommerso: «Il rapporto debito/pil scenderebbe sotto al 100%, secondo alcuni calcoli anche al 93%, e questo ci porterebbe come altri paesi vicino alla media Ue che è dell'87%. Sono sicuro», conclude, «che Monti si farà sostenitore di questa mia proposta in sede Ue». Andando via, Berlusconi torna sulla sua uscita di scena: «Confermo che non mi ricandiderò premier». Dietro di lui, i collaboratori si danno di gomito: e certo, se passasse il presidenzialismo, «Silvio concorrerebbe per l'elezione diretta del capo dello Stato», spiegano nell'entourage. D'altronde Berlusconi vive l'impegno politico come una condanna: «Vorrei farmi da parte, ma non c'è nessuno alla mia altezza, nel centrodestra…». di Salvatore Dama