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Fabio Mauri, il racconto dell'orrore del Novecento

A tre anni dalla sua scomparsa, a Palazzo Reale la mostra di uno dei grandi intellettuali dell'arte contemporanea

Andrea Tempestini
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di Carlo Franza A tre anni dalla scomparsa di Fabio Mauri (Roma 1926), Palazzo Reale di Milano ospita la mostra di uno dei grandi intellettuali dell'arte contemporanea. Artista scomodo e non classificabile in gruppi e movimenti, Mauri colonna dell' Avanguardia ha raccontato la storia e l'orrore del Novecento, con opere essenziali, dove la morte che ha coinvolto soprattutto l'umanità europea è percepita nella mostra con metafore forti, con un linguaggio visionario, con una filosofia  esistenziale svelata dall'alta tensione emotiva che cattura il visitatore. Vi accoglie “Ebrea”, un'opera-installazione posta proprio all'entrata, misura forte della tragedia; consta di un monumento equestre, una poltrona, degli sci e attrezzi vari. Si direbbe, tutto qui? Ma a leggere le didascalie il pensiero si arrovella perchè i finimenti del cavallo, la poltrona in  pelle  e gli sci sono stati “eseguiti con Oswald e Mirta Rohn catturati a Davos”.  Senza contare i saponi e  i gioielli  realizzati con i denti di vite stroncate dal genocidio. Vi assicuro che ho orecchiato tra i visitatori frasi  e parole come: “Ho i brividi”, “rabbrividisco”, “non può essere vero ! ”. Ha scritto l'artista: “ L'ideologia totalitaria pensa il mondo per te ,obbligatoriamente”. Un capitolo a se all'interno della mostra sono i disegni che segnano e insegnano forme di scontro più che di incontro, sia  quelli a soggetto religioso che i nudi . Disegni su carta realizzati quando Mauri  pur non essendo ebreo, e scoperto l'Olocausto, preferì fuggire dalla vita quotidiana e si fece ricoverare in manicomio, in quel luogo quel che lui chiamò “la casa dei matti”. Perfino lo zerbino titolato “L'ospite armeno” spiega un'altra parte di storia spesso dimenticata. Eppoi “Cina Asia nuova” del 1996,un muro di valigie cinesi, su cui ci sono i volti dei ragazzi di Piazza Tienanmen  insieme a quelli dei  poliziotti che li massacrarono. L'esodo è stato un punto di forza del suo racconto artistico, come quell'opera intitolata “Il muro occidentale o del pianto”,visibile in mostra e realizzata per la Biennale di Venezia del 1993; valigie ammassate, e dietro ognuna di essere un viaggio nel dolore, un linguaggio sottile di comunicare la morte, qualcuno giunto a destinazione. Brutalità e ingiustizia, dolore e morte, choc e stermini, l'arte di Mauri ha campionato il Novecento come pochi,compresi i suoi film e i suoi schermi dove scriveva “The end”. Mauri ha raccontato sempre storia e persone, vite personali stritolate da un errore, da un guasto biologico che, a ritmi e cadenze temporali,  circola nel mondo. 

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