Dante finisce all'inferno:la scuola vuole De Andrè
Il Comune di Bologna cambia il nome di una scuola media: per conquistare i giovani è meglio il cantante genovese che il sommo poeta
Una considerazione preliminare. Ai ragazzi delle medie, di come si chiama la loro scuola, non gliene frega niente. Andavo all'istituto Pio IX e, finché fui là dentro, non seppi mai chi fosse quel tale, di cui pure c'erano solenni ritratti e austeri busti sparpagliati nei corridoi, e che non pochi di noi chiamavamo Pio Ics nella benevola indifferenza degli stessi religiosi. Allo stesso modo non penso che scorrerà il sangue tra gli scolari delle ex scuole medie «Dante Alighieri», ora rinominate dal comune di Bologna scuole «De Andrè». Per loro, la scuola sarà quell'enorme rottura di sempre e, invece di odiare soltanto la Divina Commedia, grazie alla decisione improvvida di coinvolgere il cantautore genovese come nume tutelare dell'istituto, passerà loro anche la voglia di ascoltare le sue canzoni. Complimenti all'amministrazione del sindaco Virginio Merola e all'assessore alla cultura, Alberto Ronchi. Eppure sapranno che tutto ciò che viene associato alla scuola suscita inestinguibile nausea per tutta la vita. Tanto valeva lasciare l'intestazione a Dante che, si sa, è il padre della nostra lingua e, come dimostra la padronanza dell'italiano dell'uomo medio, nessuno ha mai letto fuori dalle aule. Meglio odiare solo un poeta, che peraltro si difende bene da solo, che un poeta e un cantautore. Dunque bene aveva fatto il ministro Anna Maria Cancellieri, quand'era commissario a Bologna, a impedire il cambiamento di nome. Ma andiamo nel merito, riapriamo la dibattuta (e trita) questione, perché di questo in fondo si tratta: De Andrè può sostituire Dante? La poesia è morta e al suo posto dobbiamo abbeverarci ai cantautori? Dobbiamo sbaraccare le migliaia di scuole Carducci, Pascoli, Virgilio e passare una bella mano di vernice fresca, a presa rapida sui giovani, inaugurando il liceo classico Tiziano Ferro e quello scientifico Jovanotti? La motivazione addotta dalla delibera comunale per il cambiamento di nome, cioè che il corpus di canzoni di De Andrè «si configura come nuova letteratura e nuova poesia popolare», usa ben due volte l'arma letale, l'aggettivo «nuova». E Dante Alighieri sarà pure il sommo ma certo non è nuovo. E così emerge la verità. Il criterio con cui si è scelto di operare la sostituzione di nome non è nel valore artistico, che tutti, anche i più fanatici sostenitori di Faber, capiscono essere incomparabile. Scrivere perché Dante non può porsi sullo stesso piano culturale di De Andrè è umiliante persino per uno come me, che andava all'istituto Pio Ics. Il criterio è quest'ansia di avvicinarsi alle nuove generazioni, di mostrarsi amichevoli verso di loro, di condividerne i gusti, di portarsi al loro livello. In una parola, di arruffianarseli. Però, e qui sta il lato comico della faccenda, non arruffianarseli completamente, cedendo su tutta la linea e intestando la scuola, appunto, a Jovanotti o a Lady Gaga. No, cedendo un pochino (si fa per dire), da Dante a De Andrè, il quale sta pur sempre un gradino sopra, anzi, diversi gradini sopra lo svacco del cantante che vince Sanremo. Come tutte le cose in Italia, è dunque un compromesso. Cari scolari, voi che odiate Dante, non capite la sua lingua immaginifica e ultraterrena e la sua concezione del cosmo ermetica, almeno imparate La canzone di Marinella o qualche notizia storica con Carlo Martello alla battaglia di Poitiers. Magari sorvoliamo sul fatto che De Andrè amasse la bottiglia, le puttane, quelle son cose che vi vedete da soli, a casa, e comunque voi giovani lo sapete bene, che per essere poeti ci vuole il whisky e le donne, mica studiare teologia come Dante. Come tutti i compromessi, è solo una manovra gattopardesca. Non si studieranno i testi di De Andrè, nelle ore di italiano, ma i terrificanti endecasillabi di Dante. E i ragazzi continueranno a ascoltare la musicaccia commerciale che è sano e giusto ascoltare a quindici anni. Solo pochi di loro, ammorbati dai genitori o dai nonni, si deprimeranno con Fabrizio. di Giordano Tedoldi