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Due milioni per il lebbrosario fantasmaCosì il prete truffava la Regione Puglia

Dopo la denuncia di un medico, don Domenico è finito ai domiciliari

Nicoletta Orlandi Posti
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di Gianluca Veneziani La storia ricorda quella del protagonista del film francese Il missionario: un prete, a stretto contatto con un delinquente, finisce per diventare lui stesso un ladro. Allo stesso modo don Domenico Laddaga, reggente della Colonia hanseniana «Opera Pia» dell'ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari), è stato arrestato con l'accusa di truffa aggravata alla Regione Puglia. Insieme all'altro amministratore della struttura, Saverio Vavalle, don Laddaga avrebbe sottratto alla Regione due milioni di euro di finanziamenti, inserendo voci di spesa inesistenti nei bilanci della Colonia. Ora entrambi i dirigenti sono stati sottoposti agli arresti domiciliari dalla Guardia di Finanza, a seguito dell'inchiesta svolta dalla Procura della Repubblica di Bari.  Le indagini erano partite nel 2009 dalla denuncia di Roberto Giannico, un medico di Taranto, che poi venne allontanato dalla struttura e fu successivamente arrestato perché accusato di aver tentato un'estorsione ai danni di don Laddaga. Eppure le accuse del medico dovevano essere ben fondate. Tra le altre cose infatti, nei bilanci della struttura - unico centro in Italia per la cura della lebbra - sono emerse spese per l'acquisto di uno strumento chirurgico (una pinza!), il cui costo è risultato essere cento volte superiore al valore reale; nonché richieste di rimborso per l'acquisto di derrate alimentari in quantità esorbitanti le effettive esigenze dei pazienti.  Insieme ai due amministratori, altre otto persone sono indagate a vario titolo nell'inchiesta. Si tratta dei due quasi omonimi Donato Antonio Buttiglione e Donato Antonio Gatti, di Vito Giordani, Nicola Martellotta, Giovanni Pietroforte, Saverio Antonio Resta, oltre che dei due imprenditori Giovanni e Francesco Romano, padre e figlio, titolari della ditta Edil.San e Global Services srl, esecutrice di lavori di rifacimento della sede del lebbrosario. Anche la struttura ospedaliera del Miulli è inserita nelle indagini: la Procura le contesta l'omesso controllo con riferimento alla normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti. Questo significa un doppio coinvolgimento per la Chiesa. Il Miulli è infatti un ente ecclesiastico il cui governatore è Mario Paciello, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti. Proprio Paciello, all'annuncio dell'arresto di don Laddaga, ha rilasciato una nota, parlando del parroco arrestato come di una «formica infaticabile e laboriosa». «Da 15 anni», ha sottolineato il vescovo, «sono testimone diretto della dedizione incondizionata di don Mimmo per l'Ospedale e per la Colonia con l'unico scopo di assicurare ai pazienti la migliore assistenza». Quindi ha manifestato  preoccupazione per il trattamento mediatico di don Laddaga: «Soffro molto per l'immagine che i mezzi di comunicazione potrebbero dare di un sacerdote che, nel silenzio ma a costo di grandi sacrifici, ha dato alla Puglia, al Meridione e alla Sanità italiana una struttura ospedaliera tenuta in alta considerazione». Il vescovo Paciello ha anche ricordato come, già prima dell'ordinanza cautelare nei confronti del sacerdote, fosse stata «costituita una commissione di indagine interna». E ha poi offerto la sua disponibilità a collaborare con gli inquirenti, «rispettoso e fiducioso dell'operato della magistratura». Non è la prima volta comunque che don Laddaga viene coinvolto in un'indagine. Il suo nome figura già in un'inchiesta riguardante una transazione tra la Regione e l'ospedale Miulli: insieme a lui erano stati indagati lo stesso vescovo Mario Paciello, il governatore pugliese Nichi Vendola e l'ex assessore alla Sanità Alberto Tedesco.

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