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Monti: "Nessuna ragione di Stato freni la verità"

Il premier alla commemorazione dell'attentato in cui morì Giovanni Falcone

Andrea Tempestini
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"Gli apparati dello Stato devono essere lontani dal sospetto di legami di prossimità con le organizzazioni mafiose". Queste le parole scelte da Mario Monti per celebrare il ventennale dell'attentato che il 23 maggio del 1992, alle 16.58, uccise il giudice antimafia Giovanni Falcone la moglie Francesca Morvillo, e i tre agenti di scorta, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Un'esplosione di oltre mezza tonnellata di tritolo sotto il suolo dell'autostrada Palermo-Mazara del Vallo che inaugurò la strategia del terrore cavalcata dalla mafia per oltre un anno. Monti, insieme al ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, ha tenuto il suo discorso nel Giardino della Memoria di Palermo, inaugurando un monumento ai caduti nella lotta contro le mafie. "Il Paese sia unito" - Nel giorno del ricordo, il premier ha spiegato che "è illusorio pensare di sconfisggere Cosa Nostra solo a Palermo, la 'ndrangheta solo a Reggio Calabria, la camorra solo a Napoli. Tutto il Paese deve sentirsi coinvolto in questa lotta, da Nord e Sud, e saper leggere e contrastare i segnali delle mafie senza paura e senza illudersi di essere immune. Sappiamo - ha aggiunto Monti - che le mafie oggi sono molto diverse da quelle che Falcone aveva iniziato a contrastare sotto la guida di Chinnici. Hanno ricevuto e ricevono colpi molto forti dalla magistratura e forze di polizia, ma sono state capaci di reinventarsi. Hanno moltiplicato i luoghi dove insediarsi". La strage di Capaci - Nel suo intervento, Monti ha fatto riferimento al complesso iter giudiziario, colmo di depistaggi e colpi di scena, con cui si cerca di arrivare a una verità definitiva sulla morte di Falcone. Gli inquirenti stanno ancora indagando per accertare tutte le responsabilità, e si affidano anche alla collaborazione del pentito Gaspare Patuzza. Ad oggi l'unica certezza sulla strage di Capaci è relativa all'esecutore materiale, un commando composto da almeno cinque persone, tra cui Giovanni Brusca, che schiacciò il pulsante che fece detonare la montagna del tritolo. "Sì al lavoro onesto" - Il premier ha poi continuato rimarcando come "il governo nella lotta alla criminalità organizzata credo stia facendo il suo dovere, anche sciogliendo molti enti locali infiltrati dalle mafie. A questo - ha proseguito - deve aggiungersi un costante impegno, che sento particolarmente nella resposnabilità di questo governo, per creare occasioni di vero sviluppo nei territori dove la mancanza di lavoro crea un terreno più facile per l'insediamento delle mafie. Sì al lavoro onesto, no al lavoro rubato, promesso con il ricatto o per la ricerca di un consenso. No al lavoro come privilegio - ha aggiunto Monti -, sì al lavoro come diritto e come dovere".

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