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Il nero albino fa 12mila kmper non essere ucciso

La storia di Emanuel: in Uganda rischiava la vita

Andrea Tempestini
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    Essere di colore ma bianco è una delle più grandi sventure che possano capitare a un africano: se va bene si diventa oggetto di razzismo “al contrario”, ma nel peggiore dei casi si rischia la morte per via di credi superstiziosi. Così Emanuel Mukassa, vent'anni, ugandese, ha deciso di scappare altrove: ragionamento basilare, facile a dirsi, ma ovviamente per nulla semplice da realizzare. Soprattutto se ci si trova al centro di un continente gigantesco e a corto di soldi. Ma lui non si è perso d'animo e a piedi ha percorso mezza Africa. Attraversando Uganda, Sudan, Libia e Ciad, fino al Marocco, è corso 12 mila chilometri lontano da chi voleva ucciderlo per il colore della sua pelle. Figlio del Demonio - Un po' in tutto il Continente, infatti, il rischio è alto per gli affetti da albinismo, coloro cioè che nascono privi di melanina; hanno pelle, occhi e capelli chiari ma genitori neri. La mutazione di per sé è già causa di alcuni problemi fisici, per cui, soprattutto a queste assolate latitudini, chi ne è portatore in genere vive meno di 30 anni. A ciò si aggiunge il fatto che, tradizionalmente, la diversità della pelle porta gli albini a essere considerati iettatori e figli del Demonio, tanto che spesso imbarazzano le loro stesse famiglie, venendo abbandonati o uccisi in fasce. Va da sé, in tale contesto, che la loro morte sia ritenuta espiatoria, praticamente un modo per placare le divinità e ingraziarsele. Nel 2006, ad esempio, sei albini sono scomparsi in Camerun dopo un'eruzione del monte omonimo, probabilmente sacrificati al dio della montagna ritenuto responsabile. Inoltre l'albino africano, assurto suo malgrado a creatura quasi magica, è ricercato come macabro “componente” di rituali sciamanici: se capelli o unghie renderebbero più fertili i campi di cacao, il cuore, i genitali, il sangue e gli arti sono usati da stregoni per realizzare talismani e pozioni voodoo. È facile così che molti di loro spariscano dopo essere usciti di casa, uccisi dai trafficanti d'organi: un corpo bianco vale circa 70 mila dollari e il mercato è ampio. Solo nel 2011 ne sono morti in questo modo più di sessanta in Uganda, Paese che vanta una popolazione albina di 17 mila persone.  Emanuel ha però deciso di scampare a un destino così ingrato. Nato a Kampala, la capitale dello Stato centroafricano, ha sperimentato un'infanzia degna di un eroe mitologico: abbandonato alla nascita, è stato cresciuto da un pastore nella verde regione del Kamuli, celato al disprezzo della gente. Divenuto grande, ha deciso di compiere l'impresa e fuggire definitivamente: gambe in spalla e, attraverso terre straniere in situazioni più o meno belligeranti, oltre che universalmente invise al suo candore, dopo un anno e mezzo di viaggio è giunto dal cuore dell'Africa fino al campo di accoglienza di «Ceti» a Melilla, in Marocco.  Il sogno - Finalmente in salvo, dunque? Non ancora. Mukassa si trova infatti bloccato nell'enclave spagnola, senza possibilità di lasciare effettivamente il pericoloso Continente Nero alla volta dell'Europa, né tantomeno di tornare indietro. È infatti considerato un profugo come gli altri, non un rifugiato politico (non fugge da guerre o dittatori), e quindi la burocrazia madrilena non gli concede il visto. «Le autorità hanno garantito che si sarebbero occupate del mio caso, ma di concreto non è accaduto nulla», dice Emanuel al cronista del Secolo XIX, che ha resa nota la sua storia. Mukassa si dichiara disposto anche a fare domanda di asilo ad altri Stati europei, come la Francia o il nostro Paese. «In Italia ci verrei a piedi. Potrebbe essere una piacevole passeggiata» aggiunge, ricordando fiero i 12 mila chilometri percorsi dalle sue gambe: «non sono affatto spaventato».  Il vero problema, per lui, è infatti riuscire a ottenere un'esistenza finalmente normale, con un lavoro normale e una dignità, magari anche una famiglia. Della sua attuale sistemazione non si può lamentare ma sa che non potrebbe durare in eterno e in ogni caso sarebbe insoddisfacente: «Mi garantiscono vitto e alloggio ma mi sento inoperoso. A volte vado in strada e mi offro gratuitamente per i lavoretti più disparati. Non ne faccio una questione di soldi, vorrei solo avere una vita tutta per me». di Eva Alberti    

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