Maroni sfila la Lega a Bossi: via da Roma
Ma il compito del nuovo segretario è difficilissimo: finito il momento magico, il Carroccio rischia l'irrilevanza
Ieri Roberto Maroni è stato eletto segretario della Lega. La nomina è avvenuta tra le lacrime di Umberto Bossi, il quale, secondo le indiscrezioni, avrebbe provato sino all'ultimo a cercare di tenere per sé il bastone del comando. Alle fine il padre padrone del Carroccio, l'uomo che lo ha fondato e che per vent'anni ha imposto la questione settentrionale, è stato costretto da una schiacciante maggioranza a passare la mano. Da domani il Senatur sarà presidente senza poteri, seduto su una poltrona che non conta più nulla perché il congresso l'ha privata di ogni funzione, anche di quelle simboliche. Si chiude dunque un'epoca. Bossi resta nella Lega, ma è come se non ci fosse più, perché Maroni ha provveduto in queste settimane, e probabilmente nelle prossime completerà l'opera, a levar di torno tutti gli esponenti in qualche modo legati alla vecchia guardia. Dopo la vicenda di Belsito, delle paghette ai figli del capo, dopo gli scandali grandi e piccoli che hanno colpito al cuore il movimento che della battaglia contro «Roma ladrona» aveva fatto un programma politico, la Lega è de-bossizzata. Ma se questo è ciò che è accaduto ieri, se cioè è stato ufficializzato con il congresso che lo spadone di Alberto da Giussano non è più nelle mani di Umberto da Gemonio, resta da capire che cosa sarà la Lega di Roberto Maroni. Ieri il nuovo segretario ha ribadito che non sarà un numero uno sotto tutela o commissariamenti, e che sulla sua guida del movimento non ci saranno ombre. «Non me l'ha ordinato il medico di fare il segretario federale», ha detto l'ex ministro dell'Interno, lasciando dunque intendere che è pronto a mollare se qualcuno tentasse di legargli le mani. Maroni ha poi annunciato di voler far tornare a splendere la stella del Carroccio, rilanciando i temi cari all'elettorato del Nord, in particolare la polemica contro il governo, accusato di essere l'esecutivo delle banche e degli euro burocrati. Primo obiettivo, licenziare dunque Mario Monti senza possibilità di reintegro, anche perché «non possiamo accettare un disegno criminale che mette sul lastrico 300 mila famiglie». Ma nei piani del nuovo leader c'è anche la battaglia contro il patto di stabilità che «affama» i comuni del Nord, impedendo assunzioni e investimenti anche se le amministrazioni locali hanno i conti in ordine. Soprattutto c'è l'intenzione di concentrarsi in Padania, rinunciando per ora a presidiare la Capitale e la grande politica nazionale: «Via da Roma è la strada per fare ripartire la Lega». E via da Roma significa abbandonare le poltrone, a cominciare da quelle nella Rai. Basterà tutto ciò per rilanciare un movimento in crisi, che, secondo i sondaggi, a causa degli scandali ha perduto in pochi mesi la metà degli elettori? Sarà sufficiente rilucidare l'insegna scrivendo «nuova gestione» per attirare i clienti che se ne sono andati al bar di Grillo? La risposta non è facile. Certamente Maroni in questi mesi si è mosso bene e ha saputo usare la scopa per fare piazza pulita. Sicuramente su Monti, gli esodati e i folli vincoli di bilancio europei fa bene a insistere. Ma la sensazione nostra è che per la Lega sia finito il momento magico e che, tra gli scandali e la crisi del centrodestra, ci sia poco spazio per rilanciare quella che l'ex capo del Viminale chiama la «Potentissima». Oggi il Carroccio è dato poco sopra il 4 per cento, dunque molto lontano dall'8 o anche dal 10 che gli erano tributati fino a poco tempo fa. Una simile percentuale rischia dunque di essere marginale, se non ininfluente, nei giochi politici nazionali, ma anche a livello padano la forza è di molto scemata. La sfida di Maroni dunque non è facile e per quanto egli abbia ieri invitato tutti i militanti a sostenerlo, ciò che appare arduo è il collocamento del partito all'interno dello scenario che si va formando in vista del 2013. Dove si schiererà la Lega? Con il centrosinistra o con il centrodestra, al fianco di Grillo contro la Casta o da sola? È probabile che Maroni sia tentato da quest'ultima soluzione, ma correre in solitudine per i seguaci di Alberto da Giussano potrebbe voler dire essere ancor più fuori da qualsiasi gioco. Una specie di movimento locale che non ha voce in capitolo in nessuna delle grandi decisioni e che addirittura, a breve, rischia l'estinzione. Insomma, diventando segretario, Maroni si è preso una bella gatta da pelare, perciò l'unica cosa che ci sentiamo di dirgli è: auguri. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet