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Perché Bersani dovrebbe dire sì a Berlusconi

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Il presidenzialismo eliminerebbe le lungaggini, i democratici pensano di avere la vittoria in pugno e si opporranno alla riforma. Ma così favoriranno solo Grillo

Giulio Bucchi
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Chiedo scusa ai lettori se torno sulla proposta di introdurre in Italia un presidenzialismo alla francese. Come ho spiegato ieri, l'idea di Silvio Berlusconi  è tutt'altro che sbagliata: si eliminerebbero in un sol colpo i problemi che ci rendono un Paese indeciso a tutto, in particolare al cambiamento. Già quasi quarant'anni fa, Indro Montanelli sollecitava modifiche radicali alla Costituzione, ritenendola responsabile dell'inefficienza dello Stato. Secondo il fondatore de il Giornale la colpa più grave della Carta su cui si fonda la Repubblica era l'impotenza cui condannava i governi, lasciandoli alla mercé del Parlamento. Dunque mettervi mano, copiando il presidenzialismo degli odiati cugini, non potrebbe che farci bene:  il potere di prendere una decisione finalmente sarebbe nelle mani del solo capo dello Stato, senza le lungaggini cui ci obbliga ora il sistema. Ma proprio perché l'idea è buona, sono pronto a scommettere che non se ne farà nulla. Una possibilità c'era quando il Cavaliere stava a Palazzo Chigi e poteva trattare da posizioni di forza. Ma ora che è caduto, è improbabile che qualcuno  gli dia retta, anche perché a sinistra si teme che la riforma possa spianare la strada del Quirinale allo stesso Berlusconi. E poi, in realtà, Bersani si sente la vittoria già in tasca, convinto che lasciando le cose come stanno non potrà essere che il Pd a vincere le prossime elezioni. Dopo che alle amministrative hanno toccato con mano il crollo del Pdl, i compagni ritengono di non aver più ostacoli e anche Grillo, che pure li impensierisce, non lo considerano un problema insormontabile. Dunque bisogna dire addio al presidenzialismo alla francese? Quasi certamente sì. A meno che nel centrosinistra non ci si renda conto che la riforma conviene anche a loro, anzi conviene soprattutto a loro. Cosa ardua naturalmente, perché non è così facile valutare i vantaggi di un cambiamento istituzionale, ma fossimo in Bersani, prima di chiudere la porta alla proposta che arriva dal centrodestra, ci penseremmo due volte. In particolare rifletteremmo su quanto è accaduto a Parma, perché sarà pur vero che quello è stato un voto particolare, su cui hanno influito diversi aspetti, ma il colpo a sorpresa accaduto nella città emiliana rischia di ripetersi fra un anno, quando si voterà per Camera e Senato. Mi spiego. Fino a un mese fa, cioè a poco più di una settimana dall'apertura dei seggi, nessuno immaginava che un seguace di Grillo potesse sedersi sulla poltrona di sindaco. Tutti si aspettavano un successo del candidato a cinque stelle, ma non c'era una persona che fosse pronta a scommettere un euro sul fatto che Pizzarotti arrivasse al ballottaggio. E anche quando si è scoperto che invece la sfida finale sarebbe stata fra l'illustre sconosciuto e il burocrate del Pd, la maggioranza degli esperti  attribuiva il successo al funzionario di  Bersani. Cosa voglio dire? Che all'improvviso tutto è cambiato e ciò che era inimmaginabile si è verificato. Sento già le obiezioni: Parma è un caso isolato; i compagni hanno puntato sul cavallo sbagliato, invece di un ronzino in età avrebbero dovuto scegliere un giovane purosangue, e così via... Può darsi che abbiano ragione. Ma io credo che il Pd non ce l'abbia fatta perché i voti del centrodestra - non essendoci una vera proposta del centrodestra - si sono riversati su qualcosa di nuovo. Un fatto che fra un anno potrebbe ripetersi, con tutto quel che ne consegue. Voglio dire che se fossi il segretario del Partito democratico non respingerei l'offerta di Berlusconi e non mi fregherei le mani guardando i sondaggi che danno il Popolo della libertà in caduta libera. Più il Pdl cade e più lascia spazio ad altri e parlando di altri non  intendo in Pd. Dal 1994, cioè da quando Silvio Berlusconi scendendo in campo ha dato vita a un sistema bipolare, la politica si è retta su due blocchi, quello di centrodestra e quello di centrosinistra. Crollando il primo, non è detto che il secondo rimanga in piedi. Anzi. Più verosimile che si ripeta quanto accaduto a Parma, ovvero che il disfacimento di uno schieramento generi l'effetto liberi tutti, offrendo agli elettori la possibilità di scegliere qualcosa di nuovo. Fossimo nel capo del Pd, cioè nell'uomo che si sente già a Palazzo Chigi nella prossima primavera, ripenseremmo all'offerta di Berlusconi. Aprire al presidenzialismo offrirebbe al sistema dei due blocchi una via d'uscita: una scelta di ammodernamento delle istituzioni che forse ammodernerebbe anche i due blocchi. In fondo, tentare non nuoce. Perché finire peggio di come siamo messi adesso non è possibile.  di Maurizio Belpietro

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