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Il cappio Iva soffoca le aziende:ecco il masochismo tricolore

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Rimborsi col contagocce e compensazioni limitate: il fisco usa l'imposta per finanziarsi a scapito delle imprese

Andrea Tempestini
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Quando tocca allo  Stato mettere mano al portafoglio sono quasi sempre rogne. E l'Iva è tra le principali. Rimborsi col contagocce e compensazioni che non solo hanno un tetto massimo di 500 mila euro, ma dal 2009 richiedono lungaggini da far perdere capo e pazienza a chi già deve lottare contro la crisi. Basti pensare che in Germania la compensazione non esiste, perché i pagamenti sono immediati: stesso mese. Così si infoltisce giorno dopo giorno la categoria dei cornuti dell'Iva. Tutti coloro che aspettano invano i rimborsi, vedendo svanire la liquidità per nuovi investimenti. E tutti quelli che sono costretti a pagare l'Iva pur avendo preso il bidone. Anche di fronte a un decreto ingiuntivo l'azienda non può chiedere allo Stato la cosiddetta nota di variazione. Per recuperare l'imposta versata inutilmente non basta che il cliente sia un desaparecido, deve proprio essere fallito. Il che significa invecchiare come Matusalemme.  Non è un caso se muoiono ogni giorno più di 1.600 imprese, secondo i dati della Cgia di Mestre. Ma ciò che maggiormente sparisce è la fiducia nello Stato. Per quanto riguarda i rimborsi Iva del 2010, al primo trimestre risultavano accolte 23.416 domande su 62.211. In tutto un importo erogato per meno di 3 miliardi su un totale richiesto di 8,6. Il governo, sulla questione, ha risposto così a un'interrogazione parlamentare: «Gli importi relativi alle restanti richieste, qualora accolte, verranno erogati nel corso del 2012 tenuto conto della effettiva disponibilità finanziaria».  Quindi i rimanenti 5 miliardi e rotti verranno pagati ad almeno due anni di distanza. E sempre che lo Stato trovi le risorse. Non basta quindi un anno di attesa per vedere l'incasso, due terzi dei rimborsi Iva sono ancora bloccati. Con un duplice effetto: da un lato le aziende diventano bancomat dello Stato e si trovano costrette a indebitarsi con le banche, dall'altro rinunciano ad assumere nuovo personale.  L'allarme arriva dai piccoli e piccolissimi imprenditori del Nordest. «Non siamo in grado ancora di fornire statistiche», spiega Alberto Marchiori presidente di Confcommercio Pordenone, «ma molti nostri esercenti sono in ginocchio per i ritardi. Alcuni hanno spostato - temo alle calende greche - nuovi investimenti e assunzioni, altri hanno chiuso i battenti».  C'è anche chi ha deciso per lo stesso motivo di chiedere i danni alla presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero dello Sviluppo Economico. È stato depositato al tribunale di Roma, con il sostegno dell'Associazione Nord-Ovest 2020,  un atto di citazione. Prima firmataria è la Inalpi di Cuneo, azienda che opera nel settore caseario.  «Nel 2011 abbiamo fatturato 113 milioni di euro, contro i 69 del 2010 e i 27 del 2009 - ha recentemente dichiarato il presidente Ambrogio Invernizzi - ma nonostante questo siamo penalizzati e abbiamo gravi problemi di liquidità per colpa dello Stato».  L'azienda compra la materia prima con un'aliquota del 10 e poi rivende il prodotto finito con l'imposta al 4. Da qui il credito. «Saremo costretti a sospendere parte dei pagamenti, incluse le forniture delle materie prime (circa 500 aziende agricole) e addirittura», ha concluso il patron di Inalpi, «le prestazioni di lavoro».  Non solo. Questa situazione finisce pure col favorire l'acquisto di latte estero in regime di intra-stato, perché comporta la compensazione immediata dell'Iva. Rischiando seriamente di mettere a repentaglio un intero settore. Latterie Vicentine ha  crediti per circa 8 milioni. Latteria Soligo sempre di Vicenza attende il rimborso per quasi 5 milioni e mezzo.  E si tratta di big. Poi c'è l'infinito mondo delle aziendine tascabili.  La Minuterie di Treviso, per esempio, aspetta 40mila euro. Una manna per chi ha solo sei dipendenti e spera di arrivare al 2013. di Claudio Antonelli

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