Coronavirus e vaccini, dove gli altri non arrivano: a Verbicaro con le squadre mobili dell'Esercito
L’ambulanza grigioverde si ferma di fronte ad una cancellata. Il tenente medico Mazza salta giù dal mezzo, calandosi il basco azzurro in testa ed avvicinandosi all’uomo sulla soglia. L’ufficiale sorride, comunicando che la squadra medica è pronta per vaccinare. Il paziente è un’anziana signora: fra età e posizione della casa percorrere 30-40 km per raggiungere l’hub più vicino è per lei praticamente impossibile.
Anche a questo servono le unità mobili dell’Esercito Italiano qui comandate dal maggiore medico alpino Salvatore Tallarico. Una decina in tutto, su due ambulanze: ufficiali medici, sottufficiali infermieri e personale vsp (volontario in servizio permanente) in viaggio per molte ore al giorno. Fra le aree più densamente vaccinate c’è il comune di Acri, circa 20 mila abitanti ai piedi della. Acri ha tante piccole frazioni, veri gioielli in angoli incontaminati della Calabria seppure difficili da raggiungere. "Ricordo un giorno in cui attendevamo una persona che avrebbe dovuto accompagnarci nel centro di un paese. Chiamò per dirci che non ci avrebbe raggiunti perché la strada era troppo ripida".
Ripida e talvolta bianca, coperta di quel bercino sul quale le quattro ruote delle ambulanze grigioverdi sembrano slittare come sulla neve. Oggi siamo vista mare, a Verbicaro un centro poco distante dal litorale tirrenico di cui si può godere un panorama mozzafiato. Caratteristica del paese sono sei chiese per 2800 anime. Una di queste è detta la Madonna de u rito (Madonna del rito) poiché di rito bizantino. Tempo per un giro turistico purtroppo non c’è (anche se lo meriterebbe) eppure i volontari della Misericordia raccontano del loro borgo a te, penna, insolita presenza in quel gruppo di militari.
Il maggiore Tallarico ed il tenente Mazza sono a Verbicaro per somministrare le seconde dosi del vaccino. Avevano raggiunto il loco ameno a metà giugno e tornano ora nella palestra messa loro a disposizione dall’amministrazione locale. Hub vaccinale d’emergenza ma che funziona bene: attorno alle 10 del mattino, infatti, si contano oltre cinquanta persone. Ed è domenica. Il compito dell’Esercito è stato ben recepito dai locali. Se, infatti, i militari si occupano del colloquio medico e della somministrazione, volontari della Misericordia e boy scout smistano la fila, occupandosi anche della compilazione dei moduli generici.
"Bene, ora può andare dalla collega qui dietro che si occuperà di somministrarle la dose di vaccino”. La voce pacata del tenente Mazza conclude il colloquio con un signore di mezza età che ha rivolto al dottore una domanda ormai piuttosto diffusa: “siamo sicuri che…?". E’ stata forse la disinformazione sull’argomento ad aver suscitato in alcuni una paura maggiore del virus stesso. E i medici impegnati nella campagna vaccinale hanno da tempo due compiti: valutare il quadro clinico del paziente e… rasserenarlo.
La vicinanza con il mare spinge i villeggianti a fare un pit stop alla palestra-ambulatorio prima di aprire l’ombrellone. Sotto il suo camice con le stellette, il tenente Mazza ricorda ad una ragazza di attendere i 15 minuti previsti dopo l’inoculazione, prima di abbandonare l’hub. I volti giovani sono il segno, positivo, che ci si è finalmente accorti di come vaccinarsi non sia opzionale, ma un dovere cui adempiere per la salute propria e degli altri. L’ambulanza lascia la palestra imboccando la salita ripida che porta al di fuori del paese. Dieci minuti lungo una provinciale che alterna scorci di macchia mediterranea alla striscia di costa; in lontananza i suggestivi ruderi del Castello di San Michele.
Raggiungiamo una famigliola in un casolare immerso nelle campagne. Anche qui, arrivare sino all’abitazione impone di scendere lentamente, con il freno tirato, una stradina ripida e un po’ dissestata. Il papà ci aspetta sulla soglia per accompagnarci all’ingresso. Davanti a noi una adolescente e la nonna seduta sulla poltrona, nel tentativo di ripararsi dalla terribile calura domenicale. La somministrazione è veloce: ci vuole più tempo a controllare la documentazione dei pazienti che non a fare il vaccino in sé. La soddisfazione (e la serenità) della famiglia è tangibile: lavorando e vivendo lontani dall’ospedale più vicino, quel servizio a casa delle unità mobili dell’Esercito è quanto mai apprezzato. Il signore ci ferma, cercando di offrire qualcosa. Decliniamo gentilmente (si è comunque in servizio), imbocchiamo l’uscita e salutiamo: “Sei stanco? Vuoi che ti riporti a casa?”, chiede con ironia Mazza. Stanco manco per niente. Pronto e pronti per un nuovo giro. Al tramonto siamo ancora là. I team vaccinali non hanno orari: ci si ferma solo a lavoro terminato. E in questa calda domenica di luglio il termine ultimo è stato di 200 somministrazioni.