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Nasce il correntone anti-socialdemocratico

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Mentre continua il dibattito su cosa sia la sinistra, se quella riformista che ha in mente Walter Veltroni o quella neo-laburista di Nichi Vendola, che ieri lungi dallo scusarsi è tornato a definire di «destra» l'ex segretario del Democratici, qualcosa, nel Pd, si muove. Mentre Pier Luigi Bersani cerca di restar fuori dalle polemiche e Romano Prodi, controvoglia, è tirato in ballo, prende forma un correntone in difesa del «Pd-vero», come lo chiamano i veltroniani. O perlomeno di resistenza contro le tentazioni, sempre più forti in un'ala del partito, di un ritorno a una sinistra tradizionale. Alla Francois Hollande, come si ama dire in questi giorni tra i Democratici. Lungo questa divisione, che si consuma dietro al tormentone destra-sinistra, si stanno rimescolando gli equilibri nel Pd. Enrico Letta, formalmente nella maggioranza bersaniana, è ormai dalla parte di Veltroni. Ed è tornato vicino all'ex segretario del Pd anche Dario Franceschini, che l'altro giorno si è trattenuto a lungo con lui alla buvette, poco prima della conferenza stampa in cui ha Veltroni ha attaccato Vendola. Così Beppe Fioroni l'altro giorno, in Transatlantico, ha parlato a lungo con Massimo D'Alema, il quale guarda con diffidenza alla verve anti-governativa dei giovani turchi, da lui stessi cresciuti. E persino Bindi, ieri, ha criticato le nostalgie per il passato di una parte del Pd: « È difficile fare il Pd perché ci sono troppi che hanno nostalgia e che al massimo pensano di prendere  qualche contributo culturale senza elaborare una cultura nuova. Adesso c'è qualcuno che vuole rifare la socialdemocrazia, ci sono i giovani che fanno una corrente. Lo dico dico chiaro e tondo: ragazzi, non andate da nessuna parte. Magari vi distribuirete i posti ma non andate  da nessuna parte». Il chiarimento è rinviato. Magari a dopo le elezioni amministrative. Più probabilmente a ridosso delle elezioni politiche, quando si tratterà di decidere alleanze e candidato premier. Intanto, tiene banco la polemica su destra e sinistra. E ci finisce in mezzo Romano Prodi. «Io mi sento a mio agio quando sento parlare i socialisti francesi, i laburisti inglesi. Non quando leggo quell'intervista di Veltroni che Prodi ha definito agghiacciante», dice Vendola arrivando a Montecitorio per la presentazione del libro di Franco Giordano (“Nostalgia canaglia”). L'ex segretario del Pd aveva chiesto, il giorno prima, le sue scuse dopo essere stato definito di «destra, una destra con Loden». “Nichi” non ne ha la minima intenzione. «È surreale. Vuol fare il congresso attaccando me. Non ho alcun interesse a occuparmi di Veltroni. Non mi interessano le baruffe di Palazzo». Però. «Se in tutta Europa si confrontano progressisti contro conservatori, mentre in Italia sono d'accordo nell'affossare i simboli di una cultura che ha consentito di uscire dalla servitù della gleba, è una cosa seria». Insiste: «Si immagina che possano competere una destra populista, cialtrona, e una colta, con il loden. Io, invece, auspico la ricostruzione di un grande centrosinistra». Di un'idea ben precisa di centrosinistra: «Se si pensa che sia normale genuflettersi a Marchionne, voglio saperlo prima. In Francia si parla di tassazione delle rendite finanziarie, mentre la destra propone ricette liberiste. È incredibile che in Italia una parte della sinistra discuta dell'abolizione dell'articolo 18, soggiogata dal fascino di politiche neo-liberiste». All'invettiva replica Walter Verini, ricordando che il giorno dopo la famosa intervista, Veltroni e Prodi si erano sentiti al telefono e si erano chiariti. Segue stoccata: «Il riferimento che aveva dato luogo all'equivoco era la caduta del governo Prodi nel 1998, dovuta al voto di Vendola e del suo partito». Poco dopo interviene l'ufficio stampa del Professore: «Non è corretto che Nichi Vendola usi strumentalmente parole del presidente Prodi per attaccare Walter Veltroni», visto che «l'espressione "agghiacciante" era frutto di un equivoco già ampiamente chiarito con lo stesso Veltroni nei giorni scorsi». La polemica, però, non è puramente lessicale. Lo dimostra Matteo Orfini, della segreteria del Pd, che ieri sul Fatto diceva di non sapere «se Veltroni sia più a destra o più a sinistra. Di sicuro è più conservatore di me». Il punto è che dietro alle «etichette» si scontrano due idee diverse. Di Pd e di sinistra. Sempre più confliggenti. Il sostegno al governo Monti, la trattativa sul mercato del lavoro - ma soprattutto la prospettiva del “dopo” - le hanno portate alla superficie. Da una parte chi vorrebbe un Pd liberal, maggioritario e riformista, dall'altra chi pensa a un Pd più nettamente socialdemocratico, che guarda in Francia ad Francois Hollande e in Inghilterra a Ed Milliband. Gli stessi, questi ultimi, che oggi si troveranno in un seminario a porte chiuse per discutere di crisi del capitalismo.   

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