La recessione entra nel Palazzo
politica
Non fa più ridere nemmeno Scilipoti. E nemmeno la leghista che si traveste da operaia. Stracquadanio è a corto di battute, Pionati si aggira sfaccendato tra buvette e Transatlantico, Tremonti è sparito (ma lo Stato si serve solo da ministri?), gli (ex) Responsabili vagolano sperduti, ciascuno per suo conto, Osvaldo Napoli non sfodera più la sua ironia, le belle del Pdl sembrano fidanzate abbandonate. Le uscite di Bossi, che vorrebbero essere sapide, hanno qualcosa di cupo. Il governo non ne parliamo. Monti ha l'aria grave. Seria, più che triste. Gli altri ministri se ne stanno impettiti sui banchi dell'Aula, l'aria un po' smarrita. Il dibattito, dopo il voto, procede stanco. Parlano molto i leghisti, ma nessuno li ascolta. Si susseguono gli ordini del giorno. Più inutili del solito. L'operaio del Pd, Boccuzzi, si allinea alla manovra, ma - dice - dopo assunzione di Malox. Damiano ha una faccia lunga così e come lui gli altri democratici filo-Cgil. Bersani sembra Sisifo. Quando Franceschini interviene in Aula, lo ascolta con gli occhi bassi, sul banco. Incurvato più del solito, senza nemmeno applaudire. I riformisti del Pd, quelli di ridere non hanno voglia da un pezzo. Lo spread è di nuovo sopra i 500, fa notare qualcuno. Walter Veltroni, in Transatlantico, segnala l'allarme della Lagarde, direttrice dell'Fmi, secondo cui l'economia mondiale rischia una nuova depressione, pari a quella degli anni '30. Chi non è preoccupato per le sorti del Paese (e del mondo), è in ansia per sé: tra i tagli alle indennità e il passaggio al contributivo, si cambia registro.