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Né fondamentalismo né laicismo, all'islam bastano i diritti umani, dice Papa Benedetto XVI

Il Pontefice a Berlino invita musulmani e cristiani a condividere i valori etici fondamentali

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Dalla lezione di Ratisbona del 12 settembre 2006 al discorso tenuto da Papa Benedetto XVI ai rappresentanti dell'islam tedesco, ricevuti nella Nunziatura apostolica di Berlino sabato 23 settembre scorso non sono trascorsi semplicemente cinque anni, ma anche una “primavera araba” dagli esiti ancora incerti e da un mutamento delle relazioni fra gli Stati. Quando parla ai musulmani, anche un Pontefice ne tiene conto, soprattutto in vista delle riforme politiche e istituzionali che dovrebbero essere segno del cambiamento culturale e politico avvenuto. Non si può nemmeno trascurare la presenza sempre più consistente dell'islam nel cuore dell'Europa un tempo cristiana, tanto che nella capitale tedesca, ricorda il Papa, «si trova la moschea più antica sul territorio della Germania» e «vive il numero più grande di musulmani rispetto a tutte le altre città della Germania». Inoltre si tratta di una comunità per la gran parte composta da turchi, la cui Patria d'origine sembra essere il luogo in cui si rende maggiormente evidente il conflitto fra il laicismo posto da Kemal Atatürk alla base dello Stato quasi un secolo fa e il nuovo corso impresso da Recep Tayyp Erdoğan nell'ultimo decennio. È naturale che quegli equilibri instabili si riflettano indirettamente sugli assetti dell'Europa, la cui crisi, va ricordando sempre più spesso il Santo Padre, non è effetto soltanto di cause economiche. Lungi dall'auspicare una rivoluzione, Benedetto XVI propone una via mediana fra il laicismo  e il fondamentalismo. Dopo aver criticato quanti interpretano la «grande importanza» attribuita dai musulmani «alla dimensione religiosa», «come una provocazione in una società che tende ad emarginare questo aspetto o ad ammetterlo tutt'al più nella sfera delle scelte individuali dei singoli», il Pontefice indica «soprattutto l'inviolabile dignità di ogni persona in quanto creatura di Dio» come principio regolatore della convivenza. Non è soltanto la Chiesa a impegnarsi fortemente «perché venga dato il giusto riconoscimento alla dimensione pubblica dell'appartenenza religiosa». Ma poiché «si tratta di un'esigenza che non diventa irrilevante nel contesto di una società maggiormente pluralista», richiama il modello della Costituzione tedesca, elaborata prevalentemente da cristiani che tuttavia non trascurarono, 60 anni fa, di «cercare una base veramente solida, nella quale tutti i cittadini potessero riconoscersi e che potesse essere una base portante per tutti, al di là delle differenze». Implicitamente, è un consiglio a non fondare le prossime Costituzioni arabe sulla shari'a, la legge coranica. Non si può nominarla, per non scatenare reazioni violente da parte dei fondamentalisti islamici in tutto il mondo. Quel che è ancora lecito è il riferimento ai «diritti inalienabili, che sono propri della natura umana». Sull'esempio tedesco, cioè di «una società allora sostanzialmente omogenea» che «pose il fondamento che oggi possiamo ritenere valido per un tempo segnato dal pluralismo», anche il mondo islamico può avviare una stagione di riforme, tenendosi nel contempo al riparo dal processo di secolarizzazione. Non a caso il Papa individua degli «evidenti confini a tale pluralismo» e avverte che «non è pensabile, infatti, che una società possa sostenersi nel lungo termine senza un consenso sui valori etici fondamentali». A meno che i musulmani non lo considerino riduttivo, un terreno di dialogo interreligioso si fonda sulla «tutela della famiglia fondata sul matrimonio», il «rispetto della vita in ogni fase del suo naturale decorso» e la «promozione di una più ampia giustizia sociale». In fondo, sarebbe ampiamente sufficiente per evitare lo scontro fra le civiltà.

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