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Enrico Mentana "condanna" Cesare Battisti e supera la Rai

Il tg de La7 pesca il terrorista

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E ora che ha fatto vedere esattamente ciò che è, un uomo senza ritegno e senza vergogna, resta da capire chi avrà il coraggio di continuare a difendere Cesare Battisti, l'ex terrorista condannato in contumacia all'ergastolo, con sentenze passate in giudicato, per aver commesso quattro omicidi in concorso durante gli anni di piombo. Ieri sera Enrico Mentana, direttore del tg de La7, ha mandato in onda una intervista esclusiva con l'ex terrorista, nella quale Battisti nega anche l'evidenza. Come ha sempre fatto. Del resto già nei giorni scorsi aveva fatto capire qual è la sua linea. Con lo “stile” che lo contraddistingue Battisti, rifugiato e protetto dal Brasile, nei giorni scorsi aveva fatto sapere  che chiederà la cittadinanza francese. «Un giorno otterrò la cittadinanza francese, ne ho diritto», ha argomentato in un'intervista al quotidiano francese Liberation l'ex terrorista, «la Francia è il Paese in cui ho costruito la mia famiglia, le mie due figlie sono francesi. L'Italia, invece, è  il Paese che ha distrutto intere famiglie». Nell'intervista concessa al tg di Mentana, realizzata in occasione della presentazione in Brasile del suo nuovo libro, è andato addirittura oltre. «Dovrei tornare in Italia a fare un ergastolo quando non sono mai stato interrogato dall'autorità giudiziaria italiana?», sostiene l'ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo, rispondendo con una domanda retorica. E già, essendo stato condannato all'ergastolo per quattro omicidi, l'interrogatorio è superfluo. Poteva parlare allora, se aveva davvero qualcosa da dire. «Sono stato usato»; dice ai microfoni de La7, «chi poteva pensare che a quell'età, ero un ragazzino, potevo rappresentare tutto questo pericolo». Come se ci fosse un'eta per essere un pericolo o meno. Chi sparava non mostrava la carta d'identità.  «Quanti rifugiati italiani ci sono in tutto il mondo ci che hanno responsabilità penali, civili e politiche molto più grandi delle mie», sostiene Battisti, senza mostrare il benché minimo rispetto per le vittime del terrorismo, «non ho mai detto che sono innocente, ma dire che non erano azioni politiche quando si tratta chiedere l'estradizione». Azioni politiche, un vecchio ritornello superato dalla storia e dai fatti. E un omicidio, in tempo di pace, non può essere rubricato alla voce «azione politica». E proprio perché Battisti racconta una propria verità, disconoscendo quella storica e quella giudiziaria, l'ex terrorista arriva al punto di proporre due soluzioni. «Se non facevo parte di quel gruppo armato, allora sono innocente, se ne facevo parte, allora sono politico. Tutti i  Paesi che  hanno affrontato la guerriglia dei movimenti rivoluzionari negli anni '60 e '70, hanno avuto coraggio», sostiene Battisti, «persino i Paesi più deboli. Sono passati 40 anni. Abbiamo il coraggio di girare questa pagina o no?». No, caro Battisti, il coraggio, quello vero, è il suo esatto contrario. Avere la forza di non girare quella pagina, almeno sino a quando i conti con la giustizia, come il suo, sono ancora aperti. E le vittime non ancora ottenuto giustizia, non vendetta.

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