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Piazza Fontana e la storia raccontata dalla Rai

quando l'Italia perde l'innocenza

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Il cinema americano, ma anche la letteratura e il giornalismo di frontiera (sconosciuto da noi ma molto attivo oltre Oceano), soffre di una strana ossessione: collocare temporalmente il momento in cui l'America perde l'innocenza. Un'idea ripetuta e ripetitiva, che fra girare in modo frenetico le lancette della storia a stelle e strisce. C'è chi colloca quell'evento fra la fine  della seconda guerra mondiale e l'inizio della guerra fredda, con l'esplosione dell'attività della Cia. Altri, invece, fermano la pellicola sulla guerra del Vietnam. E sono in tanti. E poi c'è Kennedy. L'assassinio del presidente, a Dallas, viene considerato un momento di rottura nell'opinione pubblica americana, sino ad allora  estranea alla logica del complotto interno. Quel  momento, forse,  ha soltanto contribuito ad abbattere l'ultimo brandello d'innocenza, ammesso che ci sia mai stata. Da noi no. In Italia, forse, quel momento è netto e chiaro, sempre che gli italiani abbiano avuto un'età per potersi dire innocenti. La storia, recente o passata, ci ha sempre assegnato delle colpe da espiare. Al di là di come la si voglia vedere,  la strage di Piazza Fontana, ineluttabilmente, è una sorta di spartiacque. Un drammatico spartiacque, fra un'Italia che credeva e un'altra che non vedeva. O che non voleva vedere. Un minuto dopo lo scoppio della bomba all'interno della banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano, tutti, ma proprio tutti, furono costretti ad aprire gli occhi, svegliati dal letargo dall'inizio della cosiddetta strategia della tensione. Strategia dalla quale non siamo mai completamente guariti. Labili indizi, sintomi piccolissimi, sono ancora rintracciabili nel corpaccione delle istituzioni, incapaci di assorbire qualsiasi vaccino. Per questa ragione, forse, al di là dello scontro politico, “Romanzo di una strage” il film di Marco Tullio Giordanda, ha suscitato una maree di polemiche, innescando una dibattito dai contorni sfrangiati. Troppa ideologia e poche idee, per la verità occorre lucidità e capacità di analisi. E anche il film risulta difettoso. A comprendere meglio i fatti e la realtà potrebbe contribuire  “La Storia siamo noi” che ha deciso di proporre la ricostruzione della vicenda giudiziaria e politica di quanto accadde realmente il pomeriggio di venerdì 12 dicembre 1969, quando la bomba alla banca Nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana, a Milano, uccise 17 persone e ne ferì 80, e poi nei giorni e negli anni a seguire. Il programma andrà in onda martedì 10 aprile alle ore 23,30 su Rai2 e venerdì 13 aprile alle ore 10 su Rai Tre. Un'inchiesta, quella proposta da Giovanni Minoli, che si addentra nella lunga scia di sangue che non si é fermata nemmeno con la morta dell'anarchico Giuseppe Pinelli e del commissario Luigi Calabresi. Una strage senza colpevoli che ha segnato per sempre la storia del nostro Paese, facendoci perdere quella presunta innocenza acquisita con il boom economico degli anni sessanta. “La Storia siamo noi”, in occasione dell'uscita del film, con il riaffiorare di ricordi e testimonianze, ricostruisce la storia di quanto accadde veramente in quel venerdì di dicembre.Nel documentario, che ripercorre passo dopo passo le tappe delle indagini e dei processi, parlano tutti i maggiori protagonisti. Tra gli intervistati la toccante testimonianza di Fortunato Zinni, sopravvissuto alla strage nonché di alcuni dei parenti delle vittime tra i quali Francesca Dendena . Tra le voci più significative anche quelle dei magistrati Gerardo d'Ambrosio e Guido Salvini e quella dell'ex numero due del SID, il servizio segreto militare coinvolto nei depistaggi e raggiunto in Sud Africa, Gian Adelio Maletti. Una puntata che non tralascia nessuno degli elementi di quella terribile vicenda considerata la madre di tutti gli attentati che poi seguirono durante gli oscuri anni di piombo. Insomma, grazie alla Rai, per due serate potremo metterci davanti allo specchio e provare a capire se eravamo innocenti o soltanto ciechi. E non è una differenza da poco. 

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