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Venditti il piacione, che piace agli italiani piacionisti

Partito il tour, ma senza fuochi d'artificio

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Ma sì, diciamoci la verità. Ruffiano è ruffiano. Anzi, “piacione” come se dice a Roma. Perché Antonello Venditti, nonostante abbia compiuto i suoi primi 63 anni sul palco del Palalottomatica della Capitale - con tanto di torta e amici scelti - e dal quale ha preso il via il nuovo tour “Unica”, adora non scontentare nessuno. Al punto da depurare la scaletta del concerto romano, togliendo “La ragazza del lunedì”, la canzone che, a proposito di festeggiamenti, celebra l'addio di Silvio Berlusconi. Brano che aveva fatto discutere già all'uscita del disco, e che ha rinfocolato le polemiche in occasione della prova generale di Montesilvano. Il sindaco della cittadina abruzzese, per quelle immagini dell'ex premier fra le fiamme proiettate sullo schermo, era andato su tutte le furie.Giusto due giorni fa a Marco Molendini  del Messaggero di Roma, che gli  faceva notare la cosa, Venditti aveva risposto così: “Ci sono tanti modi per farsi pubblicità. Io canto la mia canzone che dice “Silvio, che farò senza di te!”, e si vede una sua gigantografia tra le fiamme. E' solo un gioco divertente, ironico”. Ecco, appunto, se  è solo un gioco perché non  giocare anche in casa? Forse perché c'erano Walter Veltroni, Francesco Rutelli e signora Palombelli (“ma come siamo belli, ma come siamo fighi”, con la scorta al seguito e la puzza sotto al naso, mentre l'ex tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, cantava da un'altra parte… Sì, ma di ben altre cose, però…) Renato Zero e  la Carrà? Troppo politicamente scorretto, o troppo rischio per un compleanno solo? Mah, difficile da dire. Facile, sin troppo facile, da capire. Se vuoi piacere non devi dispiacere. E allora avanti a tutta birra con “cuore” e “amore”, notti prima degli esami e amici che salvano la vita. Ecco, Venditti quando canta - e non fa il Venditti professore - non delude mai, nonostante gli inevitabili segni del tempo. Il suo catalogo musicale fa parte di quella biblioteca italiana dalla quale non si può prescindere, se si vuol parlare di  canzoni e canzonette. Quella generazione – Dalla (a cui dedica l'apertura del concerto, una parentesi anche per i lavoratori dello spettacolo morti sul lavoro), De Gregori, Venditti, Vecchioni, Guccini, lo stesso Renato Zero, salutato dal pubblico come se il concerto fosse il suo, e via di questo passo - rappresenta un capitolo unico, e per questo irripetibile, dell'enciclopedia della musica italiana, alla quale non si è sostituita una nuova generazione, ma una galassia di nomi, di particelle elementari (nel senso che si tratta di “cantantini”, figli di Maria o di un embrione simile) con una cifra artistica monocorde, monotematica. Insomma monotona. No, quei cantautori, anche se ruffiani o piacioni, riescono ancora a tener desta l'attenzione e a far ballare un palazzotto dello sport. Segno che un'anima c'è. Anche quando giocano sull'istinto, colpendo alla pancia lo spettatore. Alla fine della serata, quando il concerto diventa  festa vera, con mimose e canzoni, torta e champagne, ecco che cuore e amore lasciano il posto allo stornello, con Renato Zero che dirige il classico “La società dei magnaccioni”. Roba da Osteria, direte voi… Ma no, roba de' Roma. Che, alla fine, trova la sua applicazione pratica anche a Milano. Basta intonare “O  mia bela Madunina”. Siamo non o siamo italiani? Siamo o non siamo un po' tutti piacioni?  Dopo le prime due date a Roma,  si replica il 17 ad Acireale, 24 a Conegliano, 27 a Milano e il  31 ad Ancona.

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