Dopo la sbornia di Sanremo gli schiaffi della Fiat e dei precari
un "sacco" a viale Mazzini
Ma che bel risveglio per la Rai, dopo la sbornia di Sanremo. In un lunedì di ordinaria follia, ma dalla rara intensità visto il susseguirsi di eventi, la tv pubblica porta a casa il ceffone della Fiat, che ha vinto la causa per un servizio di Annozero, era Santoro in Rai, quello dei precari, che hanno denunciato il contratto capestro per le donne che restano incinta e, dulcis in fundo, lo scontro sull'ipotesi canone da applicare su Pc, tablet e smartphone. Insomma, dopo le mazzate sulle palle di Sanremo, e vergate sulle mani del resto del mondo. Partiamo dalla Fiat. E' di cinque milioni di euro il risarcimento stabilito dal Tribunale civile di Torino, che ha condannato la Rai e il giornalista Corrado Formigli, attuale conduttore di Piazzapulita su La7, a pagare a Fiat Group Automobiles per un servizio trasmesso dalla trasmissione Annozero il 2 dicembre 2010. Nel servizio si commentavano prove comparative di tre autovetture, fra cui una Alfa Romeo MiTo, che l'azienda aveva ritenuto “fortemente denigratorie e lesive dell'immagine e dell'onorabilità della società, dei suoi prodotti e dei suoi dipendenti”. Il giudice torinese ha dato ragione al Lingotto, mentre ha assolto Michele Santoro, perché risultato estraneo all'organizzazione del test. Non un colpo, ma un doppio colpo, visto che Santoro ne esce pulito,mentre la Rai dovrà frugarsi in tasca. E poi ci sono precari. “Porre fine al proliferare di contratti “ultraleggeri”, sostituirli con scritture più serie, realisticamente rispondenti alle mansioni del lavoratore”. E stralciare dal testo la penosa “clausola gravidanza”, contenuta al punto 10 del contratto di consulenza. Sono queste le richieste del coordinamento dei giornalisti precari di Roma, “Errori di stampa”, che ha scritto una lettera aperta al direttore generale della Rai, Lorenza Lei. Nella nota il coordinamento ricorda che più della metà dei 1600 precari Rai sono giornalisti. “Si tratta”, spiega Errori di Stampa, “di una clausola secondo cui se una donna rimane incinta la Rai potrà valutare l'incidenza della gravidanza sulla produttività della lavoratrice e, se questa ne risultasse compromessa, si riserva sostanzialmente di risolvere il contratto”. In Rai non solo i giornalisti sono “consulenti”, pagati a cottimo e costretti a versare Inps o Enpals al posto dell'Inpgi, ma hanno anche l'umiliazione di sapere che scegliere un figlio potrebbe implicare la rinuncia coatta al lavoro. Insomma, davvero una bella figura. Infine il canone e il pasticcio dell'applicazione allargata, con la protesta che dilagando in tutta la Rete. L'iniziativa di far pagare il canone Rai a imprenditori e liberi professionisti che possiedono computer, tablet e anche smartphone con connessione a internet, infatti, non piace a nessuno tanto che i social network sono invasi da messaggi contro il governo. La denuncia era stata fatta nei giorni scorsi da Rete Imprese Italia ma evidentemente lo spot relativo a questo nuovo obbligo, trasmesso durante le cinque serate di Sanremo ha fatto crescere il dissenso. “Come aiutare le Pmi italiane aggiungendo tasse senza senso...”, “Come può un Regio decreto del 1938 influenzare il mondo massmediale del ventunesimo secolo?”, “Se arriva in azienda la richiesta di pagamento del canone rai, mi faccio prendere per pazzo. Questa è mafia”, “Già non guardo raim…a in tv, secondo voi mi metto a guardarla sul computer?”. Sono solo alcuni dei tantissimi tweet che stanno affollando la rete a ritmo vertiginoso e c'è chi si appella al capo del governo: “Caro Monti, visto che dici di voler fare le liberalizzazioni, chiudiamo la tv di stato risparmiamo un sacco di soldi”. Oltre alle alle riflessioni più serie, non manca l'ironia della rete: “Ho l'orologio Casio, quello col quadrante digitale e coi numeri grossi, devo pagare il canone?”. Forse no, per il momento è serio, per non dire drammatico. E tanto a Palazzo Chigi quanto a viale Mazzini urge una riflessione seria, prima che sia troppo tardi.