Militari in Libano, quando i miracoli non fanno notizia
La politica estera affidata alle forze armate
Se la pace non fa notizia, i miracoli restano un evento straordinario. E quanto sta facendo il contingente italiano in Libano si avvicina alla miracolista. Nonostante la riduzione del contingente, sceso a mille unità con l'avvicendamento fra la Brigata Aosta e la Pinerolo (alla sua prima missione in Libano) avvenuto il 7 novembre all'interno della base di Shama alla presenza del capo di Stato maggiore della Difesa Biagio Abrate, e i tagli stabiliti dalla manovra correttiva varata dal governo, i militari italiani riescono a mantenere altissimo il livello qualitativo dell'operazione Leonte. “Le missioni all'estero saranno comunque tutelate e salvaguardate, compatibilmente con i tagli”, ha assicurato il generale Abrate, “e questo mi è stato assicurato dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Per quanto ci riguarda noi daremo sempre il meglio.“ Il meglio vuol dire riorganizzare l'impiego del nostro contingente, strategico nella logistica e nell'opera di sminamento dei campi vicini alla blu line, e alla definitiva cessazione delle ostilità fra Libano e Israele. Cessazione delle ostilità che passa anche attraverso la capacità di fare da “mediatore” fra le due diplomazie. Eppure gli echi che arrivano in Italia di questa guerra alla guerra sono soffusi, di portata limitata, come se tutto questo non ci appartenesse. Come se stabilizzare i rapporti fra Libano e Israele non avesse riflessi sull'intero bacino del mediterraneo. Come se i rapporti commerciali fra Italia e Libano non producessero risultati concreti. Insomma il miracolo avviene, ma nessuno si preoccupa di fare un voto alla pace che passa attraverso un linea blu. Una linea sottile dal punto di vista geografico, ma enorme sotto il profilo politico. E di questo lavoro oscuro, lontano dai riflettori, anche i media se ne occupano poco. Al passaggio di consegne c'era solo l'inviato di Radio Rai e il corrispondente delle tre testate giornalistiche (Tg1, Tg2, Tg3), ma nessuna ha comprato il servizio. Ci fosse stato il morto sarebbero corsi tutti. Cosi funziona il rapporto con le missioni all'estero. Eppure quanto avviene qui supera tutto e tutti, al punto che da gennaio il comando della missione Unifil in Libano tornerà nelle mani del nostro Paese. E avere le redini di questa operazione significa determinare quale strada deve seguire l'intera operazione, che ha ormai una valenza prevalentemente diplomatica, più che militare. Non riconoscere questo aspetto significa negare la realtà, anche se farlo mette in difficoltà la politica. Troppo spesso ormai, e il caso Libano lo dimostra apertamente, i militari all'estero sono diventati i veri ambasciatori della Farnesina. A coloro che, una volta, veniva chiesto di distruggere, oggi si chiede di costruire. Che sia una scuola, una strada o sminare un'intera area – ed quello che i genieri stanno facendo in Libano con risultati straordinari – poco importa. L'importante è lasciare un segno tangibile. Di questa tangibilità, sempre più spesso soffocata dalla cronaca, dal fatto contingente, che inevitabilmente sovrasta tutto, non riusciamo più a far arrivare i messaggi, i segnali di fumo necessari a far capire che il professionista in divisa di oggi nulla ha a che vedere con il militare di ieri. Se si potesse usare le forze armate - in tutte le sue declinazioni - anche all'interno del territorio nazionale, così come vengono impiegati all'estero, molte opere pubbliche sarebbero già state completate. Invece ci ostiniamo a voler fare i miracoli all'estero, continuando a peccare fra le mura di casa. Per dire. Nel corso degli ultimi sei mesi il contingente multinazionale del Settore Ovest guidato dal Generale De Cicco, composto da 1550 soldati italiani e da altri 2200 militari provenienti da Ghana, Corea del sud, Malesia, Irlanda, Slovenia e Brunei, ha portato a termine 63 progetti e 16 donazioni di materiali a favore della popolazione e delle Forze Armate libanesi. Se non è un miracolo questo….