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La cura Perina e la fine del Secolo

Copie da oratorio e costi da cattedrale

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Magari alla cara «collega di sinistra» - con tutta probabilità la direttora dell'Unità Concita De Gregorio - che le ha inviato il messaggino più allegro, Flavia Perina, ex direttore del Secolo d'Italia, avrebbe dovuto raccontargli qual è lo stato di salute del giornale che lascia dopo quasi undici anni, invece di limitarsi a dire  che non si farà «zittire». Perché  la radiografia del giornale fondato da Franz Turchi è tutt'altro che rassicurante. Dalle 5mila copie del 2002, quando la Perina ne prese le redini, è sceso alle 1.300 del 2010. A fronte di una emorragia di lettori, i conti hanno continuato a lievitare. Negli ultimi tre anni Alleanza Nazionale prima e la Fondazione che gestisce il patrimonio del partito poi, hanno erogato al Secolo qualcosa come 4 milioni e 300mila euro di finanziamenti. Ai quali si vanno a sommare i soldi ottenuti dalla presidenza del Consiglio, circa 3 milioni di euro all'anno,  dati al Secolo grazie alla legge sull'editoria. Nonostante questo fiume di soldi il quotidiano di via della Scrofa ha chiuso il 2010 con una perdita pari  858mila euro dimostrando come  il progetto di «un'altra destra anche giornalistica, come ha rivendicato la Perina nel suo editoriale d'addio, fosse puro velleitarismo. Velleitarismo oneroso non solo in termini economici, ma anche pratici. Nonostante i redattori del giornale siano scesi a quota 14, dalle 21 unità del 2002, la società che edita il quotidiano ha stimato in un milione e 200mila euro la cifra da destinare alle vertenze di lavoro. Nonostante la crisi, la cassa integrazione e il calo delle copie, la precedente gestione non ha avuto timori a licenziare chi non poteva essere messo alla porta - e il giudice gli ha dato ragione - assumendo chi non poteva. E se, come dice lei, la Perina stata «l'ultima “trombonata” da un gruppo di persone che hanno l'idea che la politica si faccia cacciando la gente», è altrettanto vero che i numeri non le danno certo ragione.

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