James Comey, l'ultimo castigamatti della sinistra fatto fuori: una fine ingloriosa
James Comey? Fuori un altro. La lista degli eroi della sinistra che dall'elezione di Trump hanno scaldato i cuori dei media e del popolo liberal in grave sindrome da presidente sbagliato e' lunga, inesauribile, e con un destino segnato: ad uno ad uno, i castigamatti designati escono ingloriosamente di scena. A seppellire l'ex direttore dell'FBI Comey, ultima stella caduta, e' il rapporto di 79 pagine dell'ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, sulla gestione di Comey dei celebri memorandum degli incontri avuti con il presidente quando era capo dell'FBI. Vi si legge, tra l'altro, che Comey li ha scritti alla insaputa di Trump, il che e' gia' una pratica insolita; che li ha considerati beni personali, il che non e' vero, essendo ovviamente documenti di proprieta' dell'FBI; una volta licenziato, Comey, cosi' ha certificato Horowitz, non li ha consegnati agli agenti quando sono andati a casa sua per raccogliere il materiale di proprieta' dell'FBI, il che e' scorretto; del resto, non ha nemmeno denunciato all'agenzia governativa di esserne in possesso, e invece li ha passati tramite un amico al New York Times, con l'esplicito e dichiarato fine di fare scandalo e di ottenere la nomina di un procuratore speciale (Robert Mueller, che a sua volta era stato direttore dell'FBI). Horowitz ha inchiodato Comey scrivendo che “non ha salvaguardato informazioni sensibili, ma le ha usate…. per raggiungere un fine desiderato”. Se tutti violassero le regole cosi', a questo scopo privato , “l'FBI non sarebbe in grado di assolvere in modo proprio il dovere di far rispettare la legge”. La conclusione e' che Comey ha violato i protocolli del ministero e ha rotto i termini contrattuali della sua assunzione. L'Attorney General William Barr ha deciso di non incriminare Comey per queste violazioni, ma l'ex direttore dell'FBI, il suo vice Andrew McCabe e altri agenti sono ancora sotto indagine da parte di Horowitz per il loro utilizzo, illegale, del dossier della spia inglese Chris Steele, pagato dalla Clinton e pieno di accuse ridicole e false a Donald, per avere i permessi del tribunale speciale FISA a indagare su alcuni membri della campagna di Trump e avviare il Russiagate. Il presidente ha celebrato con un tweet la fine in disgrazia di Comey: “Forse mai nella storia del nostro Paese qualcuno e' stato accuratamente svergognato e stroncato piu' di James Comey nell'appena rilasciato rapporto dell'Ispettore Generale. Dovrebbe vergognarsi di se stesso!”. Prima di Comey, a lasciare la scena delle belle speranze dei Never Trump era stato Mueller, lo speciale procuratore che aveva quasi monopolizzato le news nei suoi due anni di indagini e di avvisi di garanzia per provare la famosa collusione di Donald con la Russia o, almeno, l'ostruzione di giustizia. E' svanito nel nulla: avendo assolto di fatto il presidente con il suo voluminoso Rapporto, ha pure dovuto subire l'umiliazione dell'interrogatorio in Congresso dai parlamentari DEM che non si volevano arrendere, e da quelli del GOP che l'hanno messo in croce per le sue contraddizioni. L'apparizione e' stata una debacle, personale per Mueller e politica per i presidenti DEM delle commissioni, Schiff e Nadler, che sul Russiagate avevano costruito la loro carriera. Via tutti anche loro, voltata la pagina. E prima di Mueller, come non ricordare i personaggi mediatici che hanno avuto la fama degli articoli a raffica, delle prime pagine, delle interviste (anche sulla stampa italiana), solo per finire nel triste dimenticatoio dei personaggi di serie C ? Stormy Daniels, la spogliarellista, ha almeno fatto qualche pieno di pubblico ai suoi show in giro per l'America allo scoppio dello scandalo per la sua notte con Donald. Ma il suo avvocato, Mike Avenatti, e' precipitato ben piu' a fondo: aveva addirittura lanciato la sua campagna per la presidenza sfruttando la fama di accusatore di Trump, e c'e' chi l'aveva anche preso sul serio: ora e' incriminato per truffe a vari clienti, e i suoi sogni di gloria sono ridotti a uno piu' modesto: non finire a lungo in galera. Dove medita da mesi, condannato per evasione fiscale, l'avvocato personale di Trump Mike Cohen. Doveva essere la miniera dei segreti criminali del presidente per la loro lunga frequentazione prima e durante la campagna, ma Mueller vi ha trovato solo alcuni suoi personalissimi reati. E anche su di lui si sono spente le speranze del New York Times, e di tutti i suoi seguaci, di farne il giustiziere di Trump. di Glauco Maggi