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Joe Biden, Lucy Flores e la slavina sessuale sull'ex vice di Obama, il paladino dem del #Metoo

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il movimento #MeToo aveva ragioni da vendere. E giova ribadirlo perche' nessuno deve pensare di sminuire l'importanza dei ricatti sessuali, e tantomeno degli assalti violenti e odiosi verso chicchessia: persone dell'altro sesso, femmine o maschi, etero od omosessuali. Si e' visto di tutto, la casistica e' completa. Il repulisti ha tirato dentro personaggi totalmente colpevoli, come gli anchormen di grido delle principali televisioni, da NBC a FOX a CBS; i CEO e manager di tante aziende che hanno perso il posto sotto le accuse; senatori e deputati, sindaci e governatori, Democratici e Repubblicani. Ristoratori di grido, allenatori sportivi, accademici e, su tutti, i ‘campioni' di Hollywood sono stati travolti dagli scandali. Non e' il caso di chiedersi se questa ondata di riordine morale, o moralistico per gli scettici, abbia superato il segno. Quale, poi? Nella misura in cui il movimento ha aiutato a migliorare l'approccio tra gli individui, nel senso di un piu' solido rispetto della dignita' personale altrui, e' stato di sicuro un avanzamento. Come capita in tutte le rivoluzioni, ci sono state esagerazioni nelle denunce e soprattutto nelle azioni di risposta alle ‘offese' commesse. E forse questo e' un prezzo inevitabile da pagare. Talvolta, e' vero, si passa il confine del ridicolo. Per esempio, cosi' fu  quando il novantenne George H. W. Bush fu accusato di aver sfiorato una signora: spiritosamente e innocentemente, si puo' presumere, essendo lui in carrozzella da anni quando lo fece. Oggi abbiamo una riedizione dell'approccio totalmente scevro di implicazioni sessuali, ma sbattuto in prima pagina, che travolge un altro patriarca della politica, Joe Biden. Lucy Flores, ex deputata di 45 anni del parlamento statale del Nevada, ha accusato Biden di essersi avvicinato a lei da dietro, di averle messo le mani sulle spalle, di averle annusato i capelli e dato un bacetto sulla nuca. Era il 2014. Joe, 71 anni allora, era il vicepresidente di Obama ed era sul palco di un teatro durante una manifestazione politica in cui il suo ruolo era di appoggiare la compagna di partito Flores che correva per il posto di Luogotenente Governatore. La donna non fu eletta, ma continuo' a fare politica diventando un'attivista di Bernie Sanders. Oggi, 5 anni dopo, ha deciso di raccontare quell'episodio con il dichiarato obiettivo di danneggiare l'immagine di Biden, proprio ora che sta valutando il momento per entrare in lizza. Nei sondaggi informali finora tenuti tra i DEM Biden e' in testa, seguito da Sanders. La Flores vuole le scuse di Joe, e ha anche detto, in TV, che comunque quell'episodio squalifica Biden dall'entrare in gara. L'ex vice di Barack ha spiegato di non essersi accorto di aver fatto qualcosa di non appropriato verso la Flores. Per me ha assolutamente ragione. “Per moltissimi anni, durante gli eventi delle campagne politiche e nella mia vita pubblica”, ha detto in un comunicato Biden, “ho dato innumerevoli strette di mano, abbracci, espressioni di affetto, sostegno conforto. E non una volta, mai, ho creduto di aver agito in modo non appropriato. Se si sta suggerendo che l'ho fatto, ascoltero' rispettosamente. Ma non e' mai stata mia intenzione”. Biden non e' arrivato – ancora - a chiedere scusa, come pretende la Flores, ma oggi e' come un bagnante in mezzo al mare morsicato da uno squalo e il suo sangue sta attirandogli attorno gli altri predatori. Che sono, uno dopo l'altro, i colleghi candidati presidenti Democratici, che sarebbero ben lieti di vedere Biden non entrare in gara. Tra i primi a stigmatizzare il comportamento di Biden sono stati Bernie Sanders, Amy Klobuchar e John Hickenlooper, ma seguiranno di sicuro anche altri.  Nel campo di Trump, la consigliera della Casa Bianca Kellyanne Conway ha detto che “Biden ha un grosso problema”, ben lieta di assistere allo spettacolo dei DEM che attaccano il loro rappresentante forse piu' qualificato. Assurdo immaginare che un episodio obiettivamente minore, risibile per le persone normali, possa avere la conseguenza drammatica del ritiro del vecchio Joe dalle primarie. Assurdo, ma rivelatore comunque vada a finire. Da tempo i DEM sono un partito dominato dalla statica ed esasperante politica delle identita', che fa persino rimpiangere la banale correttezza politica di qualche anno addietro. Tutte le energie sono spese sul terreno della percezione, della appartenenza, del profilo personale. A caccia dell'immaginario essere umano per loro perfetto, i liberal non hanno imparato le lezione della povera Hillary, che si era rivolta al Paese con parole di disprezzo per i “deplorevoli”. I DEM post Obama insistono nel puntare tutto sul voto delle cosiddette vittime dell'Orco Repubblicano: le elites culturali, le femministe pro aborto, gli omosessuali e i transessuali, gli ispanici, gli afro-americani, gli islamici, gli immigrati anche se clandestini, gli ambientalisti ossessionati dal global warming, i professori e studenti dei campus in perenne mobilitazione anti Israele. Fuori dal cono di attenzione dei politici DEM sono finiti i milioni di cittadini americani, uomini e donne che vivono tra le due coste, quelli senza il timbro di approvazione delle elites mediatiche, accademiche, culturali. E' la gente dimenticata da Washington e interessata ai problemi pratici della vita -  il lavoro e gli stipendi, e le fabbriche per produrli – che ha ascoltato Trump nel 2016 e lo ha eletto. Sapevano che era miliardario, che aveva avuto tre matrimoni, che aveva ironizzato su come andavano “prese” le donne (la cassetta registrata con le sue volgarita' nello scambio con un amico cineasta era uscita prima del voto di novembre). Ma hanno sentito che era autentico, che era con loro. Lo spettacolo di Biden messo in imbarazzo dai suoi avversari interni al partito per il bacetto alla Flores non e' soltanto il preludio del futuro scannarsi nelle primarie. Cio' fa parte del gioco. Basta ripensare alla guerra senza ritegno polemico portata da Trump contro i suoi 16 sfidanti tre anni fa. Non e' questione di tono, ma di contenuti. E butta male per un partito che spera di estromettere Donald dalla Casa Bianca senza avere ricette serie sull'economia, ma che si dibatte tra le utopie dei socialisti come la Ocasio Cortez con il suo Green New Deal, e l'esasperazione bigotta contro gli immaginari pruriti sessuali del suo alfiere piu' navigato.   di Glauco Maggi

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