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Perché il rapporto sull'andamento dell'economia Usa aiuta Trump in due sfide cruciali

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il rapporto governativo sull'andamento dell'economia USA in dicembre e' stato sorprendentemente positivo e quindi ha profondamente deluso i Democratici e i Never Trump. Sarebbe bello che la gente mettesse sempre al primo posto il successo economico e internazionale del paese, e al secondo posto il tifo politico. Ma per la porzione piu' politicizzata degli americani questo non capita in tempi normali, e men che meno quando c'e' alla Casa Bianca un repubblicano. Sotto la presidenza di George W. Bush i liberal facevano il tifo per Al Qaeda in Iraq contro i marines, che cosa volete che sia, oggi, sperare di vedere andare a rotoli l'economia, l'occupazione, gli stipendi e i titoli di Wall Street? Cosi', dopo aver gioito per il dicembre nero delle azioni, uno scivolone che ha portato il Dow Jones e il Nasdaq a valere meno dell'inizio del 2018 (ma da quando e' stato eletto Trump, le borse sono ancora sopra del 30%), Chuck Schumer e Nancy Pelosi confidavano in numeri da “pre recessione” anche da Main Street, l'economia reale. Invece c'e' stato un boom. Gli economisti avevano previsto 176mila nuovi posti in dicembre, ne sono stati creati quasi il doppio, 312 mila. Aggiungendo la correzione positiva sulle stime dei due mesi precedenti per oltre 50mila unita', il governo ha detto che c'e' stato un totale di 2,64 milioni di nuovi assunti nel 2018, che e' risultato il miglior anno dal 2015. Che le politiche di Trump nel suo primo biennio abbiano fatto benissimo all'economia reale USA emerge pure dal confronto del livello raggiunto in dicembre – 312 mila - rispetto alla media dei nuovi posti creati ogni mese negli ultimi 5 anni, pari a 215mila. Anche l'aumento del guadagno orario degli stipendi nel 2018, pari al 3,2%, e' una impennata dopo la crescita asfittica della ripresa obamiana post recessione del 2007-2008. Il tasso di disoccupazione e' aumentato dal 3,7% al 3,9%, ma nessun critico di Trump puo' aggrapparsi a questo dato, perche' e' positivo nella sostanza. Come spiegano gli analisti, infatti, esso e' dovuto al forte incremento del numero di americani – 400 mila -- entrati il mese scorso nella “forza lavoro”, termine che raggruppa sia quelli con un posto di lavoro sia quelli che lo cercano attivamente. Piu' gente viene attratta dal fatto che i datori di lavoro sono disposti a pagare di piu' per rafforzare gli organici, di cui hanno bisogno per aumentare la produzione e tenere il passo dell'espansione dei consumi. E perche' si espandono? Perche' l'aumento dei profitti, che per il 2018 e' stato mediamente superiore al 20% sull'anno precedente e che e' stato largamente dovuto al taglio dal 35% al 21% della tassa sugli utili delle corporation, ha dato la spinta per nuovi investimenti in fabbriche e progetti in tutti i settori. Cio' ha portato al bisogno di nuovi dipendenti, che sono diventati merce rara e hanno il coltello dalla parte del manico nel discutere i termini contrattuali. E' un circolo virtuoso che ha prodotto un altro record, il numero di lavoratori dell'era Trump: quando il repubblicano entro' alla Casa Bianca nel gennaio del 2017 gli americani con una busta paga erano 152.076.000; nel dicembre scorso sono saliti a 156.945.000, un guadagno netto di 4.869.000 in 24 mesi. In parallelo, i disoccupati sono saliti a 6.294milla (di cui 276mila si sono aggiunti nel dicembre 2018), per il fenomeno citato sopra della fiducia di trovare un impiego per chi nemmeno ci sperava piu', o di licenziarsi da quello vecchio nella convinzione di trovarne un altro a migliori convinzioni. Politicamente, il rapporto di dicembre da' una mano a Trump nelle due sfide piu' pressanti che sta affrontando. L'economia in grande spolvero e' un messaggio al presidente Xi, la cui Cina naviga in acque economiche men che solide, anzi quasi tempestose: “E' meglio che troviamo un accordo sul commercio e sulle regole degli scambi al piu' presto (sottinteso: alle condizioni favorevoli per gli USA) perche' l'America ha piu' benzina per durare nel braccio di ferro”, e' come se dicesse Trump facendo parlare i numeri americani. Ma dire con soddisfazione documentata che i lavoratori e le famiglie USA non devono preoccuparsi dell'economia assai florida permette a Trump di mobilitare il paese per “fare l'America piu' sicura” affrontando la protezione alle frontiere con l'impegno richiesto dall'emergenza degli ingressi di illegali. Per Trump significa ottenere i 5 miliardi di dollari nella finanziaria per costruire il ”muro” e porre fine alla serrata del governo, che dura da piu' di due settimane. Nelle ultime ore il presidente ha dato il segnale che potrebbe abbandonare l'idea del ”muro di cemento”, sostituendolo con una palizzata metallica. Accetteranno i Democratici il compromesso tecnologico di facciata? Accettera' Xi i termini dell'accordo bilaterale USA-Cina che i rappresentanti di Trump offriranno a Pechino nei prossimi giorni? Sicuramente, devono entrambi sfidare un presidente che speravano indebolito da numeri calanti e che, al contrario, ritrovano irrobustito da 312 mila nuove buste paga. di Glauco Maggi

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