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Donald Trump, in Siria lo stesso tragico errore che Obama fece in Iraq

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Donald Trump ha fatto il botto di fine anno in politica estera, con l'annuncio tre giorni fa del ritiro dei 2000 soldati americani oggi dislocati in Siria, e poi con il “raddoppio” giovedi' dell'avvio della riduzione di presenza militare USA in Afghanistan, dove gli attuali 14mila militari scenderanno alla meta', 7mila, nei primi mesi del 2019. Jim Mattis, il ministro della Difesa, ha scritto immediatamente al comandante in capo la lettera di dimissioni dall'incarico, motivandole senza peli sulla penna con il dissenso di linea. Trump aveva fatto la campagna promettendo di distruggere l'ISIS, e di essere nel contempo contrario alle politiche di esportazione della democrazia attraverso la costruzione di regimi democratici nei paesi governati da dittatori ed autocrati. Ora, dichiarando vinta la guerra contro l'ISIS, il presidente ordina il ritiro dalla Siria. Purtroppo, non e' cosi'. Sacche di guerriglia del gruppo islamico esistono ancora in diverse roccaforti del paese, e lasciarlo sguarnito di marines protettori non e' una mossa a tutela degli interessi americani. Ne' nel Medio Oriente, ne' in patria, perche' una risorgenza dell'estremismo islamico in Siria crea le condizioni per l'organizzazione di attentati terroristici negli Usa e in Europa. La guerra civile in Siria, che ha fatto oltre mezzo milione di morti e provocato l'esplosione del numero dei rifugiati all'estero, e' ancora in corso. Le forze Democratiche Siriane filo-occidentali stanno combattendo contro il regime criminale di Assad (l'uso delle armi chimiche contro la popolazione e' ripreso) che e' sempre appoggiato dai soldati russi e dall'Iran. E gli alleati curdi dell'America, che controllano l'area della Siria confinante con la Turchia, rischiano di essere strangolati dalla pressione concentrica delle truppe dell'acerrimo nemico Erdogan, dell'esercito di Assad rafforzato dai russi, e dell'ISIS. La smobilitazione dell'America avvia in Siria un tragico scenario in stile Iraq: quando Obama se ne ando' anzitempo da Bagdad, pensando che il paese fosse stabilizzato dopo la campagna vincente (di George W.Bush), creo' quel vuoto di potere che venne ben presto riempito dai sunniti di Al Qaeda (che erano in letargo) e dalla start-up islamo-nazista dell'ISIS. Obama e' storicamente responsabile di aver abbassato la guardia in Iraq, e di aver ignorato la sua stessa “linea rossa” , tirata a proposito del ricorso delle armi chimiche di Assad, non bombardando le basi siriane dopo aver minacciato di farlo. Trump era sempre stato un critico di Bush e dell'intervento in Iraq, durante la campagna elettorale, ma dopo aver vinto aveva fatto la scelta (intelligente e inaspettata da tutti) di affidarsi a un team di generali di grande valore e stima per le posizioni chiave sulla sicurezza: Mattis alla Difesa, H. MacMaster consigliere per la Sicurezza della Casa Bianca, John Kelly ministro della Homeland Security (e poi capo dello Staff). Ora, con l'addio di Mattis, questo trio di saggi e sperimenati consiglieri e' uscito di scena. Erano considerati unanimemente, a denti stretti anche dai Democratici, i pezzi forti dell'amministrazione in tema di sicurezza. Loro e' stato il merito di aver arginato gli istinti piu' focosi di Trump, indirizzandolo verso politiche in linea con la strategia americana di lungo termine, basata sulla forza militare e il rispetto degli alleati. La richiesta ai membri della Nato di pagare le quote di spese previste, cosi', e' stata un'area in cui Trump e i generali si sono mossi in sintonia, essendo la campagna del presidente ragionevole e corretta. L'addio di Mattis, ora, segnala invece un cambio di direzione da parte di Trump che e' sbagliato, pericoloso, e non puo' essere accettato dall'establishment del Pentagono. L'uscita dalla Siria significa un grave cedimento a Putin, che non a caso ha subito applaudito, ed anche alla Siria. Decifrare una strategia in questa mossa di Trump e' difficile, anzi impossibile. Che senso ha aver accettato le pressioni dei generali quando si e' trattato di dare agli ukraini, in funzione anti russa, le armi offensive che Obama si era rifiutato di fornire, e lasciare gli alleati curdi e delle Forze Siriane Democratiche in balia di Mosca e Teheran? Il rifiuto di incontrare Putin al vertice del G20 in Argentina, per rimarcare la condanna dell'azione aggressiva russa con il sequestro delle navi ukraine, e' stato l'ultimo consiglio di Mattis? Il generale, da 40 anni, sa distinguere amici e avversari dell'America ed e' una grave perdita. Dove arrivera' il rimpasto di governo nelle posizioni di sicurezza e politica estera (Niki Haley lascia a fine mese il posto di ambasciatrice all'Onu) ? E' materia in mano al bookmaker, ma se c'e' una logica nella conversione di Trump da falco anti ISIS e anti Iran (ha giustamente stracciato il patto nucleare voluto da Barack) a colomba che riporta a casa le truppe dalle zone piu' critiche, che cosa ci fanno ai loro posti i noti “duri” John Bolton, consigliere per la Sicurezza, e Mike Pompeo, segretario di Stato? Entrambi sanno a menadito che ogni appeasement verso Putin e' una sciagura, e che il pericolo del terrorismo e' globale: come reagiranno alla smobilitazione che aiuta Assad e i Talebani? Trump che fa il ‘pacifista' isolazionista, comunque, non prendera' mai il Nobel della Pace, anche se togliera' mai alla Corea del Nord le sue bombe nucleari. E neppure avra' i complimenti della sinistra interna e mondiale perche' abbraccia la stessa politica di disimpegno internazionale di Obama. I Democratici godono a vedere l'erratica politica di Trump e il conseguente livello di sfaldamento della Casa Bianca. Mentre il GOP si ritrova sorpreso, e dilaniato tra la maggioranza di falchi e la minoranza di colombe, per l'abbandono del teatro internazionale di guerra del presidente. di Glauco Maggi

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