Follia dem: i veri avversari di Donald Trump sono i repubblicani morti
Per farsi rispettare, anzi amare, dai Democratici e dai media americani guidati dal New York Times, i politici repubblicani di successo devono morire. Ed e' meglio ancora, con l'avvento di Trump, se sono stati in vita molto critici con Donald. Essere morti, e Never Trump, fa oggi di un ex presidente, George H.W. Bush, e di un ex senatore che aspirava a fare il presidente, John McCain, due icone della storia americana da commemorare con i piu' alti tributi anche dagli acerrimi nemici di prima. Meritavano gia' gli onori per il loro servizio pubblico, va da se', ma crepando si sono fatti nuovi amici. E' sempre stato cosi', basta ricordare la presidenza di Ronald Reagan. Da presidente fu ridicolizzato e criticato aspramente e irrimediabilmente, prima di essere celebrato, una volta fuori dalla Casa Bianca e malato di Alzheimer, per quello che aveva realizzato dalla Stanza Ovale: rendere l'America piu' grande e forte dopo i quattro anni del perdente Jimmy Carter, un tale successo che Barack Obama cito' Reagan come ispirazione e modello durante la corsa alla presidenza. Quando erano impegnati nella loro campagna elettorale, Bush padre nel 1988 e nel 1992, e McCain nel 2000, ricevettero dal New York Times scomuniche preventive e vennero dichiarati indegni e inadatti a fare i presidenti. Il che e' perfettamente legittimo, essendo il dissenso politico il sale della democrazia. Ma ribaltare poi il giudizio, da tanto negativo in vita a superpositivo post mortem, che cosa rappresenta? Smodata ipocrisia? Ammissione tardiva d'essere stati scorretti nella valutazione per pura partigianeria? Entrambe le cose? Nel 1992 il New York Times appoggio' Bill Clinton e giudico' la gestione economica di Bush, per i suoi 4 anni di presidenza “esasperante”. Le sue posizioni sui diritti umani? Hanno fatto infuriare, tradendo risentimenti razzisti, ha scritto il NYT. Bush e' stato bollato come “radicale estremo” nel sostenere le norme per il diritto alla vita. Conclusione: le “sue capacita' di governare sono al collasso”. Mc Cain ebbe un trattamento di favore dalla sinistra nel 2000, ma solo perche' nelle primarie si accani' contro George W. Bush, piu' temuto. Poi John vinse la nomination del GOP per fronteggiare Obama nelle elezioni del 2008 e allora il New York Times scrisse “che si era ritirato sempre piu' lontano verso il limite estremo della politica americana, conducendo una campagna elettorale di divisione partigiana, di guerra di classe. E anche con accenni di razzismo. Le sue politiche e la sua visione del mondo sono impantanate nel passato”. La sentenza del 2008 suona terminale, ma quando McCain se ne e' andato pochi mesi fa il New York Times ne ha esaltato “il suo essere un bipartisan avventuroso”, come ha dimostrato “in una lunga e distinta carriera”. E' facile scommettere che anche su George W. Bush, quando sara' il suo momento, i Democratici e il New York Times loderanno la sua presidenza e il suo servizio alla patria. Tutti ricordiamo che George W e' stato, nei suoi otto anni da presidente, vituperato, e trattato da texano deficiente, dai liberal domestici e internazionali. Il fatto di aver preso, nel 2016, le difese del fratello Jeb e di aver contrastato la nomination di Trump gli ha gia' conquistato tanti punti di rating. Anche se ne ha persi alcuni oggi per aver invitato Donald al funerale del babbo, senza cioe' fare il gestaccio istituzionale di Mc Cain che non l'ha voluto, Bush il Giovane puo' stare tranquillo. La morte resta il fattore decisivo, per i repubblicani di chiara fama, per essere apprezzati. Sara' cosi' anche per lui. E Trump? Oggi sembra impossibile un riscatto, ma mai dire mai. Potrebbe gia' migliorare la sua situazione se perdesse nel 2020, perche' oltre che morti ai DEM piacciono i repubblicani perdenti, come fu McCain e Bush padre che non venne rieletto. Anche questo fa. di Glauco Maggi