Cerca
Cerca
+

Perché è grazie ai tanti nemici che lo combattono che Donald Trump è in vetta al mondo

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

Vai al blog
  • a
  • a
  • a

E' il destino di Trump avere tanti nemici, ma e' questo destino di super-contestato che l'ha portato dov'e', in cima al mondo politico USA e anche in cima al mondo in senso letterale. Come imprenditore era gia' stato criticato dai media economici, e l'accusa era di non essere cosi' miliardario come lui vantava: durante le primarie, si ricordera', mostro' persino un foglietto del suo commercialista per dimostrare che valeva 10 miliardi, non i due o tre che gli attribuiva Forbes. Da presidente, poi, ha visto moltiplicare i suoi contestatori, ma cio', come si dice, “viene con il ruolo”. Se sei il capo di un partito in una nazione dove regna il bipartitismo (quasi) perfetto, ti garantisci che almeno mezzo paese e' contro di te, ed e' fisiologico che sia cosi'. Trump, pero', ha una caratteristica che lo contraddistingue dal suo predecessore, e che non e' cosa da poco: le sue politiche funzionano. In politica interna e' gia' evidente: Pil al 4,1%; 3,9% di disoccupazione e record di impiegati tra neri e ispanici; bonus e stipendi piu' alti per milioni di americani; Wall Street ai massimi, con beneficio tangibile per i fondi pensione dei lavoratori dipendenti e autonomi; profitti aziendali alle stelle nel 2018 per il tasso di imposte ridotto dal 35% al 21%, che spinge le corporation a investire in nuove iniziative che creano lavoro, mentre l'America e' piu' attraente per gli investitori esteri. Anche chi odia Trump, e lo manifesta rumorosamente aggredendo per strada i suoi sostenitori, beneficia nel proprio portafoglio di questa ‘rivoluzione reaganiana'. Ma non lo sentirete dire nei salotti. In politica estera l'azione del presidente e' in pieno corso, e non e' successo ancora niente di tangibile. Ma il suo irrituale, e deprecato dai media, approccio alle spinosissime questioni delle bombe nucleari che la Corea del Nord possiede gia', e che l'Iran avra' tra pochi anni come conseguenza del patto voluto da Obama, sta scompaginando il quadro della convenzionale diplomazia. Con il dittatore rosso Kim, Trump e' arrivato allo storico meeting di Singapore quando il Giappone, la Corea del Sud e l'America stessa erano sotto la minaccia dei lanci dei missili intercontinentali, sparati in spregio dell'ONU. Ma le minacce da caserma di Donald, e le sanzione piu' pesanti mai comminate dagli USA, hanno convinto Pyongyang a trattare: per ora Kim ha restituito le spoglie dei soldati USA morti nella Guerra di Corea, e soprattutto ha congelato da 10 mesi i test di nuove armi. Perche' Trump riesca davvero a denuclearizzare la penisola coreana occorre che convinca Kim a puntare sulla conversione del regime in senso capitalistico, impresa ardua ma non impossibile: i comunisti in Cina (dopo Nixon) e in Vietnam stanno vivendo questa ibrida condizione, che oggettivamente ha elevato le condizioni di vita materiale nei due paesi rossi e avviato una convivenza economico-diplomatica con il mondo civilizzato. In Iran Trump segue la stessa strategia delle pressioni economiche per portare il regime islamico estremista al tavolo. Oggi sono ripartite le sanzioni, mossa annunciata quando Trump ritiro' mesi fa, come promesso in campagna, l'America dal patto nucleare a sette (Iran piu' i 5 del Consiglio di sicurezza ONU e la Germania) voluto da Obama. Il fatto e' che Trump era serissimo quando diceva che non avrebbe permesso all'Iran di farsi la bomba, un traguardo che il patto dei Sette assicurava, con soltanto una dilazione di qualche anno. Obama aveva il consenso codino dell'Europa, interessata piu' ai business con Teheran che a proteggere Israele dalla minaccia di distruzione degli Ayatollah, e non ebbe il coraggio di sottoporre il patto al Senato per la ratifica che la Costituzione USA richiede per i Trattati internazionali. Sapeva che non aveva i numeri. Trump, prima del bastone delle sanzioni introdotte oggi, aveva giorni fa accennato all'ipotesi della carota, ossia a trattative con Teheran per una nuova intesa. Il regime islamico e' affamato, e le proteste di strada contro il regime crescono di giorno in giorno. Stamane Trump ha ancora fatto il punto della sua politica, che e' tanto semplice da stare in un tweet: ‘Le sanzioni sono entrate in vigore. Sono le piu' strette sanzioni mai imposte, e in Novembre saranno elevate ad un ulteriore livello (cioe' estese agli scambi di petrolio e gas NDR) . Chiunque fara' affari con l'Iran, NON fara' affari con gli Stati Uniti. Io sto chiedendo la PACE NEL MONDO, niente di meno”. Il tweet e' rivolto all'Europa, oltre che a Teheran. E le imprese europee abbozzano. In Germania la Daimler-Mercedes ha comunicato di aver sospeso le operazioni nel paese islamico, segno che per le imprese internazionali la scelta di campo e' obbligata: tra Iran e USA scegliere non e' complicato. Trump, con il suo comportamento a proposito di dazi, Accordo di Parigi sul Clima, Nato, ha ormai fatto capire a tutti che le sue parole, o parolacce se si vuole, hanno sostanza vera. Lo ha inteso bene lo stesso presidente iraniano Rouhani, che ha detto ieri, a proposito di un eventuale incontro con Trump: “Non ho precondizioni. Se c'e' sincerita', l'Iran ha sempre accettato il dialogo e le trattative”. “Sincerita' ” chiesta dall'Iran fa ridere, ma la propaganda ha il suo galateo. Si vedra' se le rose di Teheran fioriranno, ma si sa che fioriranno solo se avranno il colore che va bene a Trump. E anche in questo caso un patto che stoppasse le attivita' iraniane di sponsorizzazione del terrorismo islamico nella regione, e che effettivamente bloccasse la proliferazione nucleare in Medio Oriente, sarebbe un esito eccezionale. Ne avrebbero tutti un ovvio beneficio: gli iraniani che godrebbero della sospensione delle sanzioni e possibilmente di un nuovo clima di cooperazione con gli USA, per non parlare di Israele. Anche gli europei, che odiano Trump, avrebbero tutto il vantaggio di poter sviluppare in futuro affari con un Iran ‘rinsavito', e senza nucleare, ma non vogliono collaborare ora con Trump che chiede l'isolamento del regime per convincerlo a trattare. Come i NeverTrump negli USA non ammettono che se sono adesso piu' ricchi e' perche' l'America e' stata fatta piu' grande da Trump, anche i NeverTrump europei non diranno mai grazie al presidente dalle cattive maniere, ma dalle politiche efficaci. E' il destino di Trump. di Glauco Maggi

Dai blog