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Lo scoppio dello scandalo-Facebook è un successo di Trump

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Quando un milionario che e' anche un'icona dei liberal sente puzza di bruciato per le proprie personali fortune la reazione istintiva e' di sventolare le credenziali ‘giuste'. Ricordate il produttore porcellone di Hollywood Harvey Weinstein, appena scoppiato lo scandalo delle sue aggressioni alle aspiranti attrici? Nella prima dichiarazione con le ammissioni impacciate disse “combattero' la National Rifle Association (la associazione pro armi a cui i DEM danno la colpa per le uccisioni di massa nelle scuole NDA), per sfogare la rabbia contro me stesso per aver sessualmente assalito delle donne”. ‘Incredibile ma Vero', come una rubrica da Settimana Enigmistica. Adesso tocca a Mark Zuckerberg. Il giovane miliardario pro Obama non ha fatto niente di fisicamente osceno verso nessuno, ma la sua Facebook e' accusata di aver violentato la privacy di centinaia di milioni di utenti per fare profitti, ed ora lui, fondatore e Ceo, sta per comparire davanti al Congresso per difendersi. E che cosa ha fatto avere, in preparazione dell'incontro, ai membri della Commissione Energia e Commercio? Le scuse per iscritto, con assunzione piena della responsabilita' operativa, ma vestendole con l'abito politicamente corretto: “Facebook e' una azienda idealistica e ottimistica. Per la maggior parte della nostra esistenza ci siamo focalizzati su tutto il bene che puo' venire dalla connessione tra le persone. Con la crescita di Facebook la gente in ogni dove ha avuto uno strumento nuovo e potente per stare in contatto con le persone amate, per far sentire la propria voce, e costruire comunita' e affari. Proprio di recente, abbiamo visto il #MeToo movement e la Marcia per le Nostre Vite che si sono organizzati, almeno in parte, su Facebook”. Il primo riferimento e' al movimento nato sull'onda della risposta femminista ai crimini di Weinstein, che ha travolto giornalisti e deputati, cuochi e stilisti, ma che ora offre ai DEM una parola d'ordine facile facile per attaccare Trump, anche se le sue “storie” piu' o meno provate sono con donne consenzienti e porno star. E il secondo riferimento e' alla manifestazione di Washington, lanciata dagli attivisti tra gli studenti scampati alla strage nella scuola della Florida e “adottati” dai Democratici in funzione anti armi e anti GOP. Zuckerberg ha insomma lanciato il suo segnale: abbiamo fatto cose che non dovevamo fare, ci impegneremo a non farle piu'. “E' chiaro che non abbiamo fatto abbastanza per impedire che questi strumenti fossero usati anche per fare del male”, ha iniziato il “mea culpa” Zuckerberg. “Intendo le fake news, le interferenze straniere nelle elezioni, i discorsi di odio razziale e l'uso dei dati privati. Non abbiamo preso una visione sufficientemente larga delle nostre responsabilita' , e questo e' stato un grande errore. Un mio errore, e chiedo scusa”. Vedremo che cosa uscira' sul piano legislativo, se mai uscira' qualcosa, dal confronto faccia a faccia di Zuckerberg con i parlamentari. Ma intanto io ho un sospetto: tutto questo pandemonio di Facebook e' scoppiato perche' ha vinto Trump. Se no, del ‘furto' e della vendita dei profili rubati – tra gli altri - al sottoscritto e alle sorelle di chi legge, dei russi che spendono 100mila dollari (spiccioli ridicoli) di pubblicita' digitale per mettere zizzania tra Black Lives Matter e i fans del Secondo Emendamento, e delle news piu' o meno fake non gliene fregava niente ai padroni del vapore mediatico. Ho anche un ricordo nitido. Quello di aver letto articoloni dotti, in inglese e in italiano, quando si trattava di esaltare la qualita' necessariamente libertaria della Grande Rete, le sue “magnifiche sorti e progressive” nell'aiutare i popoli a rovesciare i tiranni, il ruolo di demistificazione della stampa mainstream che sarebbe in mano alle corporation e ai regimi oppressori. Tutti eravamo presi dal fascino della potenzialita' di Internet, e in effetti la primavera araba e le rivoluzioni popolari in Ukraina se ne giovarono. La fiducia un po' ingenua nella tecnologia come arma sicura contro le dittature subi' pero' un primo duro colpo quando i campioni della Rete accettarono le censure di Pechino pur di fare affari nella mecca cinese. Ma poi le “azioni” degli agenti del Bene – da Twitter a Google a Facebook - erano risalite con gli algoritmi e i Big Data, applicati alla campagna elettorale vincente di Barack. Allora, scovare i simpatizzanti per via informatica e portarli a votare era la democrazia sposata all'high tech. Nel 2016, la vittoria di Trump sta invece imponendo una revisione delle regole su Internet: se miglioreranno la privacy e il servizio, sara' un altro merito da attribuirgli. di Glauco Maggi

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