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Bufera contro Trump, così l'America bipolare si ricrederà su Donald

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Tra chi si beve giorno dopo giorno la narrativa dei media e della sinistra sui “fatti e misfatti del presidente” come medicina psicologica contro la grave “sindrome di Trump” che li angustia dal novembre 2016, va da se', il rispetto della logica delle argomentazioni “contro” non e' richiesto. Per mesi la tesi trainante e' stata che Trump, e la sua famiglia, tanto erano smaniosi di andare alla Casa Bianca che avevano “colluso con la Russia”, vendendo l'anima al diavolo Putin. Poi e' arrivato Michael Wolff, finora ‘famoso' per aver scritto una biografia su Murdoch infarcendola di farina del proprio (di Wolff) sacco, dopo essersi presentato con un best seller su un imprenditore tecnologico 25 anni fa, quando in un colpo solo raccolse, arrivato nelle librerie, 13 lamentele 13 di persone citate che non si riconoscevano in come erano state descritte e in che cosa era stato messo loro in bocca. Non andando per il sottile, siccome con il suo “Fire and Fury” ha sparato a raffica attacchi e denigrazioni contro Trump, Wolff e' diventato un oracolo di verita'. La piu' devastante delle quali, sparata contestualmente alla vecchia accusa del Russiagate,  e' che Trump, Melania e i figli non avevano alcuna intenzione di andare alla Casa Bianca. Non ne avevano proprio voglia, e comunque erano convinti di perdere e gia' pregustavano l'enorme pubblicita' che comunque si erano fatti. E aspettavano solo di capitalizzarla per guadagnare con nuovi business, grazie alla moltiplicata notorieta' del loro brand. Avida, arraffona, insaziabile, e non interessata a trasferirsi a Washington. Ecco perche' la famiglia Trump, patriarca in testa, avendo vinto a sorpresa, s'e' poi subito dimostrata incapace di gestire un potere che non voleva. I liberal, i DEM e i Never Trump hanno trovato cosi' la prova definitiva del perche' Donald e' incapace, e quindi inadatto a stare nella Stanza Ovale: la mancanza di motivazione, di interesse in quel lavoro. Alle persone normali la contraddizione appare stridente, ma andate a spiegargliela a un liberal. L'importante per i sinistri e' che si parli male del personaggio odiato, e se un'accusa fa a botte con l'altra che volete che sia? Basta far finta di niente, e attendere la prossima puntata della telenovela “Trump e l'impeachment”. A proposito, in un sondaggio di Rasmussen quasi la meta' dei Democratici e' convinta che il presidente non portera' a termine il primo mandato, che e' la misura di quanto sia persistente la “sindrome” di cui sopra. In compenso, tra i Repubblicani circa due su tre gia' scommettono che verra' rieletto nel 2020 per il secondo mandato. L'America, insomma, e' bipolare a un livello mai visto prima: gli 8 anni di Obama hanno generato la risposta trumpiana, e una riconciliazione tra gli estremi appare fantascienza, oggi. Pero' bisognera' vedere che cosa succedera' in questo 2018, primo anno di entrata in vigore della riforma delle tasse. Saranno i fatti economici concreti, se positivi, a imporre la propria forza. Come con Ronald Reagan, che da cowboy buffone divento' un presidente-mito. Se, come pare, la Apple e' davvero intenzionata a rimpatriare, al tasso di favore del 15,5% voluto da Trump (invece della tagliola del 45% in vigore sotto Obama) i 250 miliardi di dollari che ha prodotto negli anni scorsi all'estero, l'azienda aumentera' i dividendi, o investira' in ricerca e produzione, o li terra' in banca, tutte cose positive. Se le banche USA saranno inondate di cash, lo  presteranno alle imprese USA. Che a loro volta faranno assunzioni e investimenti. E non sara' solo la Apple a godere dello sconto fiscale al rimpatrio, ovviamente. Quindi la gente se ne accorgera', anche perche' dal mese venturo i tagli alle tasse sui redditi nelle buste paga dei lavoratori di fascia bassa, media, e medio-alta ridurranno le trattenute alzando la paga effettiva di tutti. I sondaggi, non a caso, gia' cominciano a mandare i primi messaggi. Gallup, che per settimane aveva dato a Trump un indice di approvazione attorno al 35%, ora e' sul 40% (con il 55% di disapprovazione, sceso dal 60%). Rasmussen, tra i piu' accurati nella campagna del 2016, indica Trump al 45% di giudizi OK (dal 22 dicembre, quando ha firmato la riforma tributaria) e al 53% di bocciature. Il rimbalzino e' registrato anche dalla media dei sondaggi di Real Clear Politics (RCP). Qualche settimana fa la media RCP dava a Trump un orribile 37% di approvazione e il 58% di disapprovazione (-21 punti di distacco). Ora e' al 40,4% di OK e al 55,9% di disapprovazioni (- 15,5 punti). Se non si contano pero' i sondaggi anteriori al 14 dicembre, che non riflettevano le buone notizie economiche di fine anno, la media di Trump sale al 44% di approvazione e al 55% di disapprovazione, un balzo di 10 punti dal 16 dicembre. Mentre i media e la sinistra si crogiolano nelle denigrazioni di Steve Bannon, l'ex alleato di Trump che ha dato a Wolff le dichiarazioni piu' devastanti contro il presidente esposte nel libro “Fire and Fury”, l'America vera si fa i conti in tasca, e si frega le mani. Per salvarsi il posto di lavoro a Breitbart, peraltro, oggi Bannon ha detto d'essersi pentito di aver parlato con Wolff:  “Il figlio di Trump e' un patriota, io ce l'avevo con Manafort” , ha cercato di precisare, tardivamente. Ma all'America vera non gliene frega niente, ne' di Bannon ne' di Wolff. Glauco Maggi

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