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Donald Trump, il libro bomba dell'ex fedelissimo Steve Bannon

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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E' finito a carte bollate il rapporto fra Trump e il suo ex capo stratega alla Casa Bianca Steve Bannon. Il legale del presidente e della sua campagna elettorale, Charles J. Harder, della ditta Harder Mirell & Abrams LLP, ha scritto una lettera a Bannon intimandogli di non fare commenti denigratori contro Trump e la sua famiglia. “A nome dei miei clienti”, vi si legge, “e' stata fatta avere oggi a Stephen Bannon la notifica legale che le sue comunicazioni con l'autore Michael Wolff che riguardano il suo libro di prossima uscita (9 gennaio NDR) danno la stura a numerose denunce legali per diffamazione e calunnia, e segnano la rottura del suo accordo scritto, con i nostri clienti, di confidenzialita' e di non denigrazione. Una azione legale e' imminente”. In dettaglio, continua Harder nella lettera, “Tu (Bannon) hai rotto l'accordo per, tra le altre cose, aver dato comunicazioni a Wolff a proposito di Trump, dei membri della sua famiglia, e della sua Campagna, rilasciando Informazioni Confidenziali e facendo dichiarazioni denigratorie  e in certi casi affermazioni assolutamente diffamatorie a proposito di Trump, dei suoi familiari e della sua Campagna, sapendo che sarebbero state inserite nel libro di Wolff e nella pubblicita' che riguarda il marketing e la vendita del libro”. Nella lettera l'avvocato scrive pure che “i risarcimenti per la tua rottura dell'Accordo comprendono, ma non sono limitati a, danni monetari, ingiunzioni riparatorie e tutti gli altri rimedi a disposizione secondo la legge”, anche se non ha indicato nessuna somma in denaro. La mossa dell'avvocato di Trump segue l'uscita su alcuni media, tra cui il Guardian, di brani del libro "Fire and Fury: Inside the Trump White House" (‘Fuoco e furia: dentro la Casa Bianca di Trump'), scritto dal giornalista Michael Wolff sulla base di “soffiate” di numerosi insider dell'entourage di Trump, alcuni anonimi ed altri, come Bannon, che hanno accettato di farsi attribuire apertamente giudizi negativi sul presidente e sui suoi consiglieri piu' stretti, da Jared Kushner a Ivanka Trump a Kellyanne Conway. Oltre al resto, a proposito del famigerato, e ormai stranoto, incontro alla Trump Tower del figlio di Trump Donald Junior, di Paul Manafort e di Jared Kushner con un'avvocatessa russa dell'estate 2016, Bannon ha detto a Wolff: “I tre tizi senior della campagna hanno creduto che fosse una buona idea vedersi con un governo estero nella Trump Tower nella stanza delle conferenze al 25esimo piano, senza avvocati. Non avevano alcun avvocato. Anche se uno pensasse che questo non fosse un tradimento, o fosse non patriottico, o fosse una str. ta, che e' quello che penso io, avrebbe dovuto chiamare l'Fbi immediatamente”. Il tono del commento e' devastante per il personaggio che l'ha fatto, ma la sostanza non e' originale, perche' e' quanto hanno detto e scritto tutti i commentatori, anche conservatori, ironizzando su Donald Junior quando mise sui social le email scambiate con l'amico russo che ha organizzato l‘incontro: da parte russa per fare lobbismo contro le sanzioni legate al caso Magnitski Act (sulle adozioni di bimbi russi); da parte di ‘Trump Figlio' per capire se c'era “del marcio su Hillary”. Il meeting e' centrale nell'inchiesta in corso del Procuratore Speciale Bob Mueller, e le parole di Bannon, che non era presente, non aggiungono nulla e sono solo la prova dell'astio maturato dall'ex stratega contro la Casa Bianca. In primo luogo per essere stato licenziato in tronco, e poi per aver perso la battaglia su cui tutto aveva puntato, come rivincita, nella sua guerra all'establishment del GOP: l'appoggio al bigotto ultrareligioso Roy Moore, accusato di rapporti sessuali inappropriati con alcune minorenni, per il seggio senatoriale in Alabama. Moore ha perso la corsa, e Bannon ha perso la faccia. E ora e' stato irreparabilmente scaricato da Trump. “Steve Bannon non ha nulla a che fare con me o la mia presidenza. Quando e' stato licenziato, non ha solo perso il posto ma anche la testa. Steve era uno dello staff che ha lavorato con me dopo che avevo gia' vinto la nomination battendo 17 candidati, spesso descritti come la squadra con piu' talenti mai assemblata nel GOP”, ha detto il presidente con una dichiarazione scritta. “Ora che e' tutto per conto suo, Steve sta imparando che vincere non e' cosi' semplice come io lo faccio apparire. Steve ha avuto molto poco da fare con la nostra storica vittoria, che fu realizzata dagli uomini e dalle donne dimenticate di questo paese. Piuttosto, Steve ha tutto a che fare con la perdita di un seggio senatoriale in Alabama tenuto da piu' di 30 anni dai repubblicani. Steve non rappresenta la mia base, e' solo li' per se stesso”. Bannon, con le sue dichiarazioni-bomba da ex alleato che fa terra bruciata, e' diventato ancora piu' beniamino della sinistra. Finora i media e i liberal l'avevano usato come il “cervello” populista & estremista di Trump, e questa ‘associazione' prometteva di danneggiare in permanenza il presidente davanti all'opinione pubblica del mainstream. Ora che con l'attacco frontale ha consumato una rottura definitiva, personale e politica, con Trump, Bannon non potra' pero' essere piu' utilizzato come suo ‘associato'. E quanto alle parole sprezzanti del libro di oggi,  gennaio 2018, per raccontare il vecchio meeting con l'avvocatessa russa alla Trump Tower, Bannon deve conciliarle con quelle della intervista a ‘60 Minutes' (CBS TV) del settembre 2017, la prima dopo essere stato cacciato, mesi prima, dalla Casa Bianca, in cui disse che “la collusione con la Russia e' una farsa totale e completa”. Bannon avrebbe una sola via per recuperare dignita' politica e umana, dopo il ‘tradimento', ed e' di correre lui stesso da presidente, come parrebbe orientato a fare da qualche passaggio del libro di Wolff. Ma e' un'ipotesi impossibile, anche perche' la miliardaria Rebekah Mercer, finanziatrice storica del GOP e unica vera estimatrice di Bannon al punto da averne caldeggiato la nomina a capo staff di Trump dopo la vittoria del 2016, ha fatto sapere che non e' piu' una sua sostenitrice.  La frustrazione di aver visto la sua strategia franare miseramente in Alabama l'aveva gia' convinta a chiudere il borsellino. Ora, il libro di Wolff ha messo una pietra tombale sulla loro relazione. I liberal se ne facciano una ragione: da cervello del presidente per due elezioni vinte, stile Karl Rove con George W. Bush, Bannon e' ridotto a ex stratega vendicativo che non sa perdere. di Glauco Maggi

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