La settimana d'oro di Trump, dalle tasse al Muslim ban
Il momento si' di Trump continua. Dopo la prima grande vittoria in Congresso, dove sabato il Senato ha approvato la sua versione della riforma delle tasse, e' stata la Corte Suprema a dargli ragione sul tema contestatissimo del bando agli ingressi da sei paesi islamici. Anche se non e' stata una decisione finale sulla costituzionalita' della misura, con una maggioranza schiacciante di 7 a 2 i giudici supremi hanno permesso alla amministrazione di imporre pienamente il divieto, accogliendo la richiesta della Casa Bianca di poter applicare in concreto le restrizioni in attesa dell'iter giudiziario ancora in corso ai livelli inferiori delle corti federali d'appello. L'ok di sette giudici, pero', anticipa il verdetto conclusivo che potrebbe arrivare entro l'estate. Hogan Gidley, portavoce del governo, ha detto che Trump “non e' sorpreso dalla decisione odierna della Corte che consente l'immediata applicazione della proclamazione del presidente che limita i viaggi dai paesi che presentano un elevato rischio di terrorismo”. Solamente due giudici liberal dei quattro della componente di sinistra della Corte, Ruth Bader Ginsburg e Sonia Sotomayor, hanno sostenuto di non essere d'accordo con la decisione che da' a Trump il via libera alla sua politica di verifiche rafforzate alle frontiere, dopo che alcuni giudici di singoli Stati, come le Hawaii e il Maryland, avevano bloccato gli ordini esecutivi. Il bando si applica ai viaggiatori provenienti da Ciad, Iran, Libia, Somalia, Siria e Yemen. Le corti inferiori avevano stabilito, per mettere i bastoni tra le ruote a Trump annacquando il suo decreto, che la gente che vantava un legame “in buona fede” con qualcuno gia' negli Stati Uniti non poteva essere tenuta fuori. Anche i nonni, i cugini e altri parenti lontani erano tra le persone che non potevano essere escluse, di fatto allargando la schiera di chi sfuggiva alle verifiche piu' meticolose. Ora queste parentele non serviranno a garantire l'esenzione dai controlli rigidi, anche se gli ufficiali dell'immigrazione potranno fare eccezioni caso per caso. I giudici supremi non hanno fornito spiegazioni per il loro ordine, ma il loro intervento d'urgenza era stato richiesto con la motivazione che bloccare il bando nella sua pienezza stava “causando un danno irreparabile”, poiche' era basato su preoccupazioni legittime di sicurezza nazionale. Nelle cause sollevate in Hawaii e Maryland, le corti federali locali avevano sostenuto che il divieto a viaggiare violava le leggi federali sulla immigrazione. Il bando si applica anche ai viaggiatori dalla Corea del Nord e a una serie di ufficiali del governo venezuelano e ai loro familiari, ma le cause contro la Casa Bianca non contestavano queste due restrizioni, che in effetti toglievano ogni legittimazione alle accuse di discriminazione religiosa che erano state alla base delle bocciature dei primi ordini esecutivi. Finora tutte le decisioni precedenti delle corti federali locali erano state prese su una base preliminare, e il nono circuito della corte di appello di San Francisco e il quarto circuito della corte d'appello di Richmond, Virginia, hanno in calendario a giorni la discussione di merito del divieto. Anche se queste corti di secondo grado dovessero dare verdetti contro il bando di Trump, il 7 a 2 di oggi anticipa quale sara' la fine della tenzone. Permettendo al divieto della Casa Bianca di operare nella sua interezza proprio pochi giorni prima che le corti di appello dicano la loro, sostiene David Levine, professore di legge della Universita' della California, i nove giudici pro Trump hanno dato un chiaro segnale di come la pensino. Ossia che il presidente ha la responsabilita' di vigilare sulla sicurezza dell'America, e quindi il pieno diritto-dovere di prendere tutte le misure su chi puo' entrare nel paese. di Glauco Maggi