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Donald Trump a un passo dalla storia: meglio di Kennedy e Reagan?

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Dopo la Camera qualche settimana fa, anche il Senato, sabato all'alba, ha approvato la riduzione delle tasse e altre misure fiscali che favoriranno la crescita economica USA. I due testi non sono identici, e il prossimo appuntamento saranno dunque le riunioni congiunte dei repubblicani dei due rami del parlamento per la “riconciliazione” delle due proposte e la stesura della legge definitiva. La prima vittoria legislativa di Trump e' alla portata del Congresso, che punta a presentare il testo finale entro la fine dell'anno. I senatori hanno votato 51 a 49, con un solo repubblicano contrario, Bob Corker: falco anti-debito, il senatore del Tennessee ha detto che non se la sentiva di approvare la misura perche' sulla carta non e' fiscalmente neutrale, almeno a tenere per buona l'analisi dell'ufficio congressuale, che opera conteggi statici e non valorizza il potenziale, impossibile da quantificare in anticipo, di quanto crescera' il “fatturato” tributario in un contesto di crescita prolungata oltre il 3%, e forse il 4%. Tutte le altre voci critiche nel GOP si sono allineate dietro il capo della maggioranza Mitch McConnell, e soprattutto dietro il presidente. Non hanno insomma concesso il bis della debacle repubblicana subita con la mancata cancellazione di Obamacare, e il quadro politico e' radicalmente cambiato. I democratici, che sono fuori dalle stanze di controllo sia alla Camera sia al Senato, non possono che puntare tutte le loro fiches sui fallimenti del GOP, sperando che l'elettorato che ha mandato Trump alla Casa Bianca sia demoralizzato per le promesse non mantenute dei repubblicani e diserti le urne alle elezioni di medio termine di novembre 2018, ribaltando le maggioranze in Congresso. Sarebbe il passaggio obbligatorio, peraltro, anche per poter procedere con maggiori speranze nel tentativo di impeachment, che resta il sogno dei liberal. Ecco perche' i media fans dei DEM, e gli stessi Nancy Pelosi e Chuck Schumer, i due impotenti leader DEM alla Camera e al Senato, hanno sperato che i senatori repubblicani critici del piano di Mitch McConnell per la riforma delle tasse, caldeggiato e condiviso dal presidente, fossero almeno tre, numero indispensabile per impedire al GOP di raggiungere quota 50, visto che la loro maggioranza e' ora di 52 a 48. Con 50 voti, infatti, sarebbe subentrato il vicepresidente Mike Pence, che per la Costituzione e' automaticamente anche il presidente del Senato, e ha il potere di esercitare il 51esimo voto in caso di parita'. Invece, i sogni dei DEM si sono infranti. John McCain, che la sinistra americana e italiana aveva chiamato eroe (“American Hero”) perche' il suo ‘NO' aveva bocciato la riforma sanitaria trumpiana, stavolta ha deciso per il si'. Ha detto che riformare il fisco e alleviare il peso fiscale su imprese e famiglie e' un bene per la nazione. Ha capito cioe' che andare ancora contro Trump per il motivo personale di essere stato offeso (stupidamente, uno dei tanti casi di tweet masochisti di Donald) in campagna elettorale per essere stato un prigioniero di guerra lo avrebbe fatto passare alla storia come oppositore della piu' importante riforma tributaria da Reagan ad oggi. Un po' troppo per una ripicca. Idem ha fatto Rand Paul, altro storico rigorista e bastian contrario che sulle tasse ha pero' trovato la quadra con la leadership repubblicana. Anche le senatrici Susan Collins del Maine e Lisa Murkowski dell'Alaska , che erano state contrarie alla cancellazione di Obamacare, dopo aver ponderato a lungo e ottenuto modifiche al testo, soddisfacenti per i loro Stati, si sono allineate. Per ultimi, i due senatori Ron Johnson (Wisconsin) e Steve Daines (Montana), che avevano annunciato una decina di giorni fa di non votare il primo testo proposto da McConnell sono riusciti a introdurre i cambiamenti che cercavano (alzare i benefici per le imprese individuali e le piccole aziende, per avvicinare il loro trattamento a quello riservato alle grandi aziende, il cui onere e' sceso dal 35% al 20%, come voluto da Trump per rendere gli USA competitivi con i regimi di tassazione dei profitti delle corporation in vigore negli altri paesi). Via via si sono sfaldate cosi' le obiezioni dei senatori critici del GOP, e conseguentemente le speranze dei DEM di vedere Trump a mani vuote e il suo partito incapace di governare e legiferare. Magari la gente disprezza davvero personalmente Trump, se sono validi i sondaggi che lo danno attorno al 40%, e spesso sotto, di approvazione. Ma la crescita del PIL al 3,3% nel terzo trimestre e la Borsa che ha tagliato nel suo primo anno cinque migliaia tondi di crescita del DOW Jones (l'ultimo traguardo i 24 mila di qualche giorno fa) sono segnali ovvi che il paese che consuma, produce e investe pende dai programmi finanziari e fiscali della Casa Bianca, e apprezza le misure di deregolamentazione avviate, anche se ne parlano solo gli addetti ai lavori, e la stampa le ignora o quasi. Se andra' a compimento la riforma delle tasse prima del 31 dicembre sara' giusto parlare di un enorme successo legislativo e politico, se si pensa che sia JF Kennedy sia Ronald Reagan hanno impiegato anni per far passare le loro riforme di tagli fiscali. di Glauco Maggi

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