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"Io credo a Juanita": le conseguenze pericolose dell'editoriale "bomba" del New York Times

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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“Io credo a Juanita”, titola il suo op-ed sul New York Times Michelle Goldberg. Michelle e' una convinta liberal che scrive su un convinto giornale liberal, quindi “Io credo a Juanita” fa notizia. Eccome. E fa anche un po' ridere amaro. Juanita, infatti, fa di cognome Broaddrick, la signora che accuso' Bill Clinton di averla stuprata quando lui era attorney general in Arkansas. Allora la sua denuncia fu sepolta dalla cortina di difesa eretta dalla moglie cornuta, dai giornali e dalle TV di sinistra dominanti, e dai Democratici tutti. I quali, evidentemente, non erano della pasta di quelli di oggi, scandalizzati che un aspirante senatore dell'Alabama, Roy Moore, ex giudice ultrareligioso, abbia insidiato 40 anni fa, quando lui ne aveva una trentina, una 14 enne e altre teenager. Moore oggi, e giustamente anche per i repubblicani, e' un politico finito: le accusatrici, che crescono di numero giorno dopo giorno, l'hanno inchiodato con testimonianze dettagliate. E anche se e' pur sempre ‘la parola mia contro la parola tua' , le smentite di Moore sono inconsistenti, vaghe, e persino con larvate ammissioni. Politicamente insostenibili. Nel clima dopo Weinstein, che ha scatenato la grandinata di sollevazioni di attrici uscite allo scoperto contro mezza Hollywood maschile (e strada facendo Kevin Spacey ha ammesso la sua omosessualita' per allontanare, spera lui, la punizione per i peccati giovanili di pedofilia e di abusi), il tempo e' maturo per riaprire il “caso Clinton”. Bill, quello che “giuro che non ho mai fatto sesso con quella donna (Monica NDR)” e ha scampato l'impeachment da spergiuro grazie al voto in Congresso dei compagni di partito. Bill Clinton prima di allora aveva lasciato una scia di scandali mai esplosi, di tante donne violentate e umiliate dal gelo attorno alle loro denunce. Adesso il GOP intero ha chiesto a Moore di uscire dalla gara, e ha comunque promesso di espellerlo se dovesse vincere (ora i sondaggi danno pero' Moore gia' battuto dal candidato DEM). Lasciare il campo e' la cosa giusta, e soprattutto inevitabile da fare, se si ha un passato indifendibile. Ma mentre Moore non ha futuro, lo scheletro di Juanita, che e' viva e vegeta e battagliera (si presento' a un dibattito tra Hilary e Trump prima del voto) ha finalmente ritrovato il centro della scena e fa paura ai Clinton, e alla falsa coscienza dei Democratici. Juanita Broaddick ha infatti risposto per le rime a una ex star di Netflix, Chelsea Handler, ora diventata attivista politica liberal, che aveva twittato: ” Immagina di essere molestata da un uomo piu' vecchio. Poi quell'uomo nega di averlo mai fatto e viene eletto al Senato USA (il riferimento e' a Moore NDR). Che tipo di messaggio cio' manda alle giovani donne ovunque? E a tutti gli uomini che abusano delle donne?”. “Lo posso immaginare”, ha ribattuto Juanita. “Io ero stata stuprata (nel 1978 NDR) dall'allora Attorney General dell' Arkansas che divenne poi Governatore & Presidente e la NBC tv tenne in archivio la mia intervista in cui spiegavo lo stupro fino a dopo la sua deposizione durante la procedura di impeachment!”. L'intervista avvenne nel 1999, e la NBC tv la mise in onda solo dopo l'assoluzione di Clinton in Congresso. Prima dell'editoriale “bomba” della Goldberg sul New York Times, un ospite liberal in un programma della MSNBC, Chris Hayes, a proposito del passato di Bill Clinton aveva twittato, dopo gli attacchi di rito alla destra “ e' anche vero che i Democratici e quelli di centro-sinistra sono maturi per una riconsiderazione da tempo dovuta sulle accuse contro di lui”. Perche' tutto cio' sia amaro e' ovvio. Clinton e' stato il Democratico di maggior successo dal 1992, ha fatto miliardi pontificando (e peggio, con la sua Fondazione); ha aiutato Hillary a fare la senatrice; ha dato una mano decisiva a Obama, sia nel 2008 dopo la vittoria alle primarie contro Hillary, sia nel 2012 per la rielezione (con l'accordo di avere, nel 2016, il sostegno di Barack e Michelle, puntualmente arrivato). L'America di sinistra sapeva tutto dei suoi stupri e tradimenti, ma ha sempre messo la testa nella sabbia. E' sacrosanto che oggi lo standard richiesto per fare vita pubblica sia rigoroso, e che Moore esca di scena il prima possibile. I paradossi sono tanti, pero'. Uno e' che l'ondata di rispetto effettivo e sostanziale delle donne contro le prevaricazioni maschili sia stata originata dal comportamento, smascherato, di quel Weinstein che aveva finanziato per decenni le cause liberal di Bill, Hillary e Obama. Un altro e' che i Democratici hanno sventolato per 20 anni la bandiera di una piu' alta moralita' e di una inflessibile difesa dei diritti delle donne avendo come campione proprio lui, Bill Clinton. Il terzo e' che la sconfitta attesa di Moore alle urne in dicembre (se non si ritira in fretta, cosa che non ha per ora alcuna intenzione di fare) erodera' la striminzita maggioranza dei senatori del GOP, che passera' da 52 a 48 di oggi a 51 a 49 dal 12 dicembre, giorno del voto. Lo scandalo di violenza sessista contro le donne nato e cresciuto nel malcostume della roccaforte liberal a Hollywood, insomma, produrra' in Congresso una vittoria Democratica. Con il sempre piu' probabile addio del GOP alle speranze di passare la riforma fiscale e di mantenere il controllo nei due rami del parlamento tra 12 mesi scarsi alle elezioni di mediotermine. di Glauco Maggi

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