Caso Weinstein, che fine hanno fatto i soldi che il produttore ha dato a Hillary Clinton?
Ora lo sdegno per le maialate del produttore Harvey Weinstein e' finalmente unanime. Sono arrivati, ultimi, anche Michelle e Barack a fare un comunicato, scritto e cofirmato, in cui si dicono disgustati. Appena prima di loro, anche Hillary aveva affidato a una nota ufficiale la condanna del “comportamento descritto dalle donne che sono uscite allo scoperto”, e che ovviamente “non puo' essere tollerato”. “Sono choccata e inorridita dalle rivelazioni su Weinstein”, ha aggiunto, prima di lodare le varie Gwyneth Paltrow, Angelina Jolie, Rose McGowan, Asia Argento, Ashley Judd, Mira Sorvino, eccetera, che hanno smascherato il porcellone. “Il loro coraggio e il supporto di altri e' critico nell'aiutare a fermare questo genere di comportamento”, continua la dichiarazione della ex First Lady, con tono da Segretaria di Stato. Lei, peraltro, “questo genere di comportamento” lo conosce bene per esperienza diretta. Ma Hillary, che attacco' invece di difendere la Monica Levinsky e le altre numerose vittime di “questo genere di comportamento” da parte di suo marito Bill quando era governatore e presidente, non ha mai neppure avuto la dignita' che ha mostrato invece subito Georgina Chapman, la moglie di Weinstein: meno di una settimana dopo che le porcate sessuali del marito sono emerse per la prima volta sul New York Times, lo ha piantato e si e' separata. Ma Georgina e' una businesswoman che ha una sua propria carriera come stilista di moda, ed e' accreditata di una ricchezza sui 30 milioni di dollari; non e' una donna politica che ha bisogno di un marito con il senso di colpa, e che le possa aprire nuove strade di successo un domani, una volta passata la buriana, come cinicamente programmo' la Clinton. Su un altro aspetto fondamentale della vicenda - i finanziamenti avuti dal campione dei DEM Harvey -, Hillary ha invece scelto il silenzio: dagli 1,42 milioni di dollari in donazioni raccolti tra gli amici di Hollywood per la sua corsa presidenziale ai 100 mila alla famigerata Clinton Foundation; dai 5400 dollari (il massimo possibile legalmente) al suo comitato elettorale ai 30mila dati al comitato congiunto tra la sua campagna per la Casa Bianca e il comitato nazionale democratico. Che fine faranno quei soldi ricevuti da uno stupratore, lei che voleva diventare presidente perche' e' una donna? Se avesse voluto restituirli l'avrebbe dovuto dire nello stesso comunicato di condanna. Come hanno fatto i senatori DEM sovvenzionati da Harvey nella loro carriera: costoro, per cercare di non essere rovinati nelle prossime campagne elettorali dall'amicizia grondante dollari del mogul del cinema, hanno fatto sapere che dirotteranno i fondi a gruppi di attivisti pro femministe, che a loro volta poi sosterranno gli stessi senatori. E' il gioco delle tre tavolette, ma l'ipocrisia dei liberal e' inguaribile. Clinton, che non ha reputazione da difendere, invece se li terra', anche se ha genericamente detto il giorno dopo, alla CNN, che li dara' in carita' nella sua dichiarazione dei redditi. Obama e Michelle, nella condanna di Harvey, se la sono cavata anche loro con una nota scritta: “Ogni uomo che sminuisce e degrada le donne in simile maniera necessita di essere condannato”. Commento glaciale, e del resto l'ex presidente era stato pure lui foraggiato molto generosamente da Harvey, che e' amico personale della coppia: infatti, la figlia Malia aveva ottenuto una internship presso la ditta di Weinstein. La caduta rovinosa di un mito di Hollywood come Harvey, riconosciuto burattinaio nella assegnazione degli Oscar e figura potente che ha creato e distrutto carriere femminili per 30 anni (oggi ne ha 65) non sara' senza conseguenze sulla scena politico-sociale. Le “Notti” degli Oscar, dei Golden Globes, degli Emmys, dagli anni di George Bush ma soprattutto dopo la elezione di Trump, sono diventate la palestra televisiva in cui le elite dello spettacolo, rigorosamente di sinistra, si allenano in correttezza politica. Cioe', nella demonizzazione di conservatori, pro vita, patrioti, difensori delle frontiere contro i clandestini e del diritto costituzionale a portare le armi. Ma l'America che sta tra Hollywood e la Silicon Valley di Facebook e Google a ovest, e New York e Boston a est, assiste a tanta partigianeria sinistra con crescente distacco (secondo i dati di audience), e da oggi ci aggiunge il disprezzo. Lo spettacolo delle oscenita' rivelate di uno dei simboli massimi del mondo dello spettacolo, praticamente commesse alla luce del sole ma coperte per decenni dalla mafia mediatica e dall'opportunismo dell'ambiente e degli amichetti di partito, contribuira' a scavare un solco ancora piu' profondo tra le Meryl Streep che pontificano e i comuni americani che vorrebbero, dal cinema, occasioni per ridere e piangere, non per essere ‘ammaestrati' . Non e' un caso che la degenerazione del ruolo e della credibilita' degli “eroi dello schermo” sia esplosa nello scandalo Weinstein negli stessi giorni in cui gli atleti milionari hanno scatenato la guerra contro Trump, la polizia “razzista” e l'America, manifestando in ginocchio il loro disprezzo per l'inno e la bandiera. Avevo scritto il 26 settembre (scusate se mi cito) un articolo titolato ‘E cosi' anche i giocatori di football si uniscono alla combriccola anti Trump di Hollywood' ( http://www.liberoquotidiano.it/blog/glauco-maggi/13252041/e-cosi-anche-i-giocatori-di-footbal-si-uniscono-alla-combriccola-anti-trump-di-hollywood.htmlc ). Ora Hollywood ha fatto l'eco con il suo scandalo, e si e' ancor piu' approfondito il solco tra l'America normale e quella militante di sinistra e altezzosa, frustrata e imbarazzata per i suoi idoli impresentabili. Alla prossima Notte degli Oscar vedremo se le elites avranno perso un po' di sicumera e di senso ingiustificato di superiorita', e recuperato un po' di umilta' e oggettivita'. di Glauco Maggi