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Siria, l'ultima capriola di Obama:gli Stati Uniti non interverrannoComunque vada, Barack ha perso

Il voto in Congresso non è stato anora cancellato: se il presidente venisse sconfitto sarebbe in minoranza. E se approvano l'attacco si rimette all'Onu

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Ok, e' stato tutto uno scherzo questa faccenda dell'attacco “molto misurato e limitato”, “incredibilmente piccolo”, “muscolare nella dose minima per non essere presi in giro”, solo per scegliere tre della tante e minimizzanti definizioni usate dai membri del governo e della Casa Bianca. Con l'ennesima capriola di oggi, di fatto Obama ha seppellito le chance che ci sia mai un intervento Usa, visto che ha detto di appoggiare gli sforzi delle Nazioni Unite di sequestrare e rendere innocuo l'arsenale di armi chimiche di distruzione di massa di Assad.  La mossa e' stata originariamente favorita dall'uscita di John Kerry a proposito della rinuncia Usa a bombardare se Damasco avesse accettato di consegnare tutti i gas tossici entro una settimana. Kerry l'aveva presentata in realta' come “impossibile, non si puo' fare”, e quindi poteva essere catalogata come una “provocazione dal sapore retorico” come si era subito incaricato di interpretarla il portavoce stesso  del segretario di Stato; oppure come una gaffe (sempre che l'intenzione ultima e vera di Kerry e Obama fosse quella di attaccare); oppure come una via di fuga da cogliere al balzo da tutti i protagonisti del melodramma siriano: la Russia, Assad, e soprattutto Obama. E cosi' e' stato. Il ministro degli esteri russo ha “accolto” quella che non era proposta formale americana, ossia la rinuncia alla guerra in cambio della consegna di Damasco delle sue armi chimiche,  e da padrino di Damasco ha subito ottenuto che Assad comunicasse di essere d'accordo.  Su che cosa, non si sa. Ma tanto e' bastato ad Obama per definirlo un “passo in avanti”, con cio' mettendo in moto una clamorosa retromarcia venduta come un successo: la guerra non si fara' piu', e la velleita' di Obama di fare il “giudice” che punisce il despota che ha ucciso i bambini con il gas nervino si e' prontamente trasformata in una semplice fase del prossimo iter diplomatico, che si potra' prendere tutto il tempo che vuole prima di diventare azione. Harry Reid, il leader democratico del senato, ha infatti subito rimandato il voto previsto per mercoledi'  in aula e insieme ad un gruppo di senatori sta modificando il testo che era stato preparato per dare l'autorizzazione all'uso della forza. Adesso conterra' una nuova linea rossa, che potrebbe prendere giorni o settimane prima di concretizzarsi, se mai lo fara'. Infatti, se votera' si' il Congresso subordinera' in qualche modo l'ok ad usare le armi soltanto dopo che il Consiglio di Sicurezza avra' trovato l'accordo di Russia e Cina su una risoluzione sulla  Siria.  Il contenuto? Chiedera' ad Assad di permettere agli ispettori dell'ONU di avere accesso agli arsenali, di farne un censimento completo. E dara' poi una scadenza al governo siriano entro la quale dovra' distruggere o consegnare le armi. Se non rispettera' i termini di questa (eventuale) risoluzione, scatteranno le (ipotetiche) conseguenze punitive di tipo militare, che ovviamente dovranno essere autorizzate dal Consiglio di Sicurezza stesso, con la Cina e la Russia che diranno di no. Con una opinione pubblica americana che osteggia l'intervento con il 60% circa di contrari, e con la farsa della risicata coalizione internazionale (una decina di paesi) che si era impegnata solo a parole al G20 ad essere solidale con Obama quando diceva che attaccava, il nuovo scenario che mette al centro l'ONU e' la garanzia che i missili resteranno nel giardino della Casa Bianca. A proposito del fiasco siriano che si profila per Obama, va ricordato che Bush ottenne un largo consenso di voti in Congresso per intervenire in Iraq, e che quasi 40 nazioni non diedero solo una firma di solidarieta', ma soldati e armi.  Resta una sola vera battaglia non cruenta in questa vicenda della Siria, ma non ha nulla a che fare con le sorti di un popolo che ha gia'pagato con oltre 100 mila morti la guerra civile tra il dittatore al potere, una opposizione moderata che ha ormai capito di non poter contare su Barack, e una fazione che si sta irrobustendo di terroristi di Al Qaeda che puntano a crearsi una base fisica come in Yemen grazie allo smembramento del paese. Questa battaglia e' quella del voto in Congresso, che ad oggi non e' stato cancellato: se e quando si terra', qualunque sia il testo della risoluzione di autorizzazione, per Obama sara' un passaggio delicatissimo, e dalle prospettive una peggio dell'altra . Dovesse essere sconfitto,  la sua presidenza non avrebbe piu' capitale politico da spendere neppure per la sua agenda interna. E sarebbe una disfatta di credibilita' personale per lui, e una sberla anche all'America, di fronte alla platea globale. Chi si immagina un Obama che va da solo a fare la guerra, bocciato dal parlamento? Ma se anche ottenesse il si', che cosa se ne farebbe dopo aver deciso di rimettersi all'ONU e alla “buona volonta'” di Assad?     Glauco Maggi @GlaucoMaggi

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