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Le scuole americane preferite dai giovani italiani (ma c'è un grosso pericolo)

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il primo ministro Paolo Gentiloni, alla conferenza stampa di giovedi' con Trump alla Casa Bianca, ha detto tra l'altro, a proposito del profondo legame tra Usa e Italia, che gli Stati Uniti sono, per numero di iscrizioni, la seconda destinazione preferita dagli studenti italiani che vanno all'estero a studiare. E' la realta' e non stupisce nessuno: senza scomodare i dati ufficiali ministeriali, bastano i “sondaggi” informali che si fanno tra conoscenti e amici italiani parlando di figli e nipoti per illustrare il trend. Un tempo era “fuga dei cervelli”, oggi e' emigrazione di massa. Il fenomeno riflette, insieme, un aspetto positivo e uno negativo. Da una parte e' bene per i singoli giovani viaggiare e prepararsi al meglio, con le lingue straniere e l'assorbimento di culture diverse, per la loro vita futura, dovunque sia in questo mondo complesso. Dall'altra fa male, a chi ama il paese, costatare che e' l'Italia, per la sua condizione economica e sociale attuale, che “costringe” tanti ragazzi ad andarsene: che e' una cosa bella se e' una scelta, ma meno bella se e' una necessita'. Se il problema diventa dunque “dove andare?”, ovvio che in moltissimi scelgano l'America. E' stata la prima, e sola, nazione al mondo ad essere stata creata due secoli e mezzo fa da individui che hanno scelto di diventare una comunita', e da allora ha continuato ad essere la sola “patria di adozione” sulla Terra, con il suo simbolo nella Statua con la fiaccola all'imbocco della baia di New York. La statua si chiama “della Liberta' “ non a caso, perche' senza tutte le liberta', e prima tra tutte quella di espressione - di pensiero e di parola -, l' America non sarebbe l'America. Il che ci riporta a Gentiloni, al flusso di italiani nei colleges USA, e alla liberta' di pensiero in pericolo. L' universita' che negli Anni Sessanta era stata la culla del movimento per la liberta' di opinione e il diritto di parola degli studenti, la Berkeley UC (University of California), e' oggi l'emblema, l'ennesimo purtroppo, delle sollevazioni studentesche contro la liberta' di parola per chi non la pensa come Sanders, la Clinton, insomma i liberal e i democratici. Il caso di cronaca e' relativo al divieto alla giornalista-scrittrice conservatrice Ann Coulter di tenere un discorso sulla immigrazione nel campus. Coulter era stata invitata per il 27 aprile dalle associazioni di giovani repubblicani, che saranno pure una minoranza ma hanno il diritto di scegliere chi far parlare ai loro incontri. Invece due giorni fa il rettore di Berkeley ha cancellato l'evento, ufficialmente per “motivi di sicurezza”, sostenendo che la relatrice e il suo pubblico sarebbero stati a rischio di incidenti, perche' i gruppi di sinistra avevano minacciato azioni violente. Il pericolo era reale, in quanto c'era gia' stato in febbraio il precedente dei manifestanti mascherati, anarchici e radicali di sinistra, che avevano tirato sassi e messo a ferro a fuoco il campus per impedire che Milo Yiannopoulos, gay e ultraconservatore, tenesse una conferenza. Anziche' organizzare una risposta all'insegna del rispetto dell'ordinato esercizio del diritto di parola, con le forze dell'ordine schierate se servono a difendere la liberta', i dirigenti di Berkeley hanno dato carta bianca ai violenti. La protesta generale che si e' sollevata nel Paese civile, pero', ha costretto il rettore a tornare sui suoi passi, e a decidere di permettere il discorso della Coulter, ma in una data successiva. Il giorno proposto, il 2 maggio, cade in una settimana in cui non ci sono corsi, e la Coulter ha cosi' respinto il rinvio e ha detto che, essendo una cittadina americana con il diritto di parola, lei tiene ferma la data del 27 aprile, e si presentera' al campus. Sara' interessante seguire, nei prossimi giorni, questa vicenda. Ci sono stati troppi precedenti di intolleranza nei mesi scorsi, e l'assurdo “diritto di censura” basato sulla violenza, che e' come certi liberal di sinistra intendono la democrazia, deve essere stroncato. Una studiosa del Manhattan Institute, Heather MacDonald , che ha scritto libri sulla polizia e sulla criminalita' documentando con i numeri delle vite salvate di tanti giovani neri l'importanza delle politiche “law & order” , dovette parlare mesi fa in una stanza chiusa, e praticamente vuota, alla UCLA, mentre all'esterno giovani armati di sassi e bastoni del gruppo Black Lives Matter creavano il caos. La notte dopo, 200 facinorosi, al grido di “Chiudila dentro” e “Da Oakland alla Grecia, polizia fottiti” la assediarono al Claremont-Pomona College. Un mese fa lo scrittore sociologo Charles Murray, del pensatoio American Enterprise Institute, non pote' parlare al Middlebury College, e la professoressa che lo accompagnava, Allison Stanger, e' finita all'ospedale per le botte. Il clima di intolleranza nelle universita' verso le idee che non piacciono alla nuove Guardie Rosse di Sanders, di Soros e dei Democratici e' un cancro, perche' mina nella sua essenza il fondamento stesso della educazione libera che dovrebbe basarsi sul confronto delle idee esposte, non sulla repressione preventiva di quelle non gradite. Era gia' un male presente e diffuso da anni, e ora la vittoria di Trump ha gettato benzina sul fuoco, esasperando la situazione. Ma forse questo e' un bene, perche' anche nello stesso corpo dei docenti che avevano fin qui tollerato, quando non caldeggiato, comportamenti intollerabili, emergono segnali di allarme. Una coppia di famosi docenti di opposte idee, Cornel West di sinistra e George Robert conservatore, hanno scritto un manifesto per propugnare la liberta' di parola nelle universita' e le firme di adesione aumentano di giorno in giorno. Speriamo bene, anche se ho i miei dubbi che gli estremisti rossi rinuncino alle violenze. Gli aspiranti italiani che fanno domanda ora per essere accettati nei colleges si preparino alla situazione di un sessantottismo nei campus che convive con l'eccellenza nelle classi. Il sistema universitario si regge sulla concorrenza tra atenei, e sui ranking (le classifiche) di qualita'. Non essendoci il valore legale dei titoli di studio, a differenza che in Italia, cio' che conta poi sul mercato e' la reputazione delle universita' in cui ci si diploma. Il livello e' sempre buono dal punto di vista accademico nelle facolta' di matematica, tecnologia, informatica, ingegneria, economia e business, legge, medicina e psicologia, ossia in tutte le scienze (piu' o meno) esatte, e pure nei corsi post laurea. Gli studi umanistici possono essere assai qualificati nelle migliori scuole, ma le facolta' di scienze politiche, sociologia, giornalismo, filosofia, storia, arte, pubbliche relazioni eccetera offrono oggettivamente, anche qui come in Italia, minori sbocchi immediati di lavoro. Inoltre, sono quei Dipartimenti in cui i professori politicamente corretti (che pesano per l'80-90% del corpo docente in generale) si sbizzarriscono a inventare corsi perditempo del tipo “femminismo in Papuasia”. Se uno viene negli Usa per studiare davvero, meglio che sappia evitare le degenerazioni, fuori e dentro le aule. di Glauco Maggi

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