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Ha fatto errori ma Trump piacePiù dei giornali che lo criticano

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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Il sondaggio dell'Emerson College dice tutto sullo stato insano dell'informazione americana. La maggioranza della gente, il 49%, e' convinta che l'amministrazione attuale sia degna di fiducia, mentre  quelli che pensano ugualmente bene dei media sono solo il 39%. E' un distacco che dovrebbe far riflettere quegli italiani che, onestamente, vogliono davvero capire il fenomeno Trump, ma sono sicuro che non accadra'. L'ostracismo anti Trump e' inossidabile, essendo il prodotto di una auto-referenzialita' che si trasmette dai giornali e dalle Tv del mainstream all'opinione pubblica ‘conforme', e che da quest'ultima rimbalza con autocompiacimento ai media DOC, ortodossi traduttori del New York Times e della CNN. I media liberal USA stanno marciando come falangi macedoni dal 9 novembre contro il governo repubblicano ma, cifre alla mano, non hanno scalfito piu' di tanto la disponibilita' e la stima verso Trump che gli sono bastati per vincere. O, forse, e' proprio che cosa hanno visto finora di Trump a piacere. Sembra incredibile, vero? Di azioni discutibili, o nettamente sbagliate, il “nostro” ne ha fatte svariate. Dall'ordine esecutivo maldestro, malconcepito, malpreparato, male-eseguito sul bando ai cittadini dei 7 paesi islamici all'attacco non-presidenziale ad una catena di vestiti che ha cacciato i cappotti di Ivanka dai negozi. Troppo importante il tema della sicurezza nazionale per affrontarlo da dilettanti improvvisatori come ha fatto la Casa Bianca (lo stesso ministro della Sicurezza Interna, Kelly, ha detto che la misura era fatta con i piedi). E troppo piccina la querelle commerciale di infimo cabotaggio: un intervento in difesa della figlia ‘da padre orgoglioso' che ha offerto il fianco all'accusa di conflitto di interesse. Tant'e'. Questo e' quello che si sa di Trump. Magari condito dalle marce delle donne, dalle proteste nelle strade e nelle universita' contro l'ordine esecutivo contro siriani & co. Qualcuno, che crede di non poter reggere psicologicamente a 4 anni di Donald, sta sognando l'impeachment. Perche'? Ma perche' e' un razzista, nazista, sessista, xenofobo, anti-Islam, antigay. E ha tanti alberghi nel mondo, e con tutti quei business non volete che spunti la corruzione, l'interesse privato? Ma mentre quest'America minoritaria e' in preda alla sindrome texana rivisitata – ieri per Bush oggi per Trump -, l'altra America vede altro. In casa, vede l'attivismo sfrenato di Trump nello stimolare le aziende Usa a crescere, ad assumere, a fidarsi della sua mentalita' pro-business e della sua passione, e capacita', di sviluppare l'economia sana, non quella assistita. Nessun Ceo delle 500 aziende nello S&P 500 si era esposto ad appoggiarlo in campagna elettorale: o avevano vergogna, o erano convinti che la Clinton vincesse. Ora e' una continua sfilata nella Stanza Ovale di imprenditori, e di sindacalisti. Eccome se interessa ai primi il suo programma di deregolamentazione, di tagli alle tasse. Eccome se interessa ai secondi la politica tutta “pro posti di lavoro americani”. Anche aziende stellari, high tech, simboli della globalizzazione e paladini della circolazione di talenti senza frontiere, a favore della immigrazione e contrari ai “muri”, sono apertissimi a un rapporto con Trump. A New York, aprendo la serie di “conversazioni con i top manager italiani” che hanno sfondato nelle multinazionali (tenute da Maria Teresa Cometto per conto dell'Istituto Culturale e del Consolato italiano), il CFO di Apple, Luca Maestri, e' stato candido. “Crediamo che noi, come azienda importante, abbiamo la responsabilita' di impegnarci, di dialogare con il governo,  di far sapere che cosa pensiamo. Questo vale a proposito dell'ordine esecutivo del bando ai sette paesi, su cui non siamo d'accordo. Ma anche a proposito di tasse. Il sistema Usa e' da riformare, ha il tasso del 35% che e' il piu' alto al mondo. Ed e' l'unico che prevede la tassazione per le imprese nazionali su tutti i loro profitti globali. Quindi paghiamo le imposte all'estero sui profitti realizzati fuori, e poi se li portiamo in patria paghiamo anche le tasse USA. Per questo c'e' un enorme volume di cash che non rientra. Ma se Trump abbassa il tasso a un livello di favore, accettabile (si dice dal 35% al 10-15% NDR), i capitali rientreranno e daranno una forte spinta allo sviluppo”.  Trump, dunque, “piace” (o, almeno, e' trattato come interlocutore legittimo e non come appestato) anche alle aziende high tech che contano, anche se si sono sprecati titoli sulla “Silicon Valley che snobba e odia Trump”. E che dire degli statisti suoi pari che ha iniziato a incontrare alla Casa Bianca? E' partito con i pesi da novanta dell'economia globale, la Gran Bretagna e il Giappone. Non ha fatto il giro delle scuse americane partendo da Il Cairo omaggiando l'Islam. Ha ricevuto, parlando di affari, Theresa May reduce dalla Brexit, e il premier Abe che ha mostrato di aver digerito senza acidita' il ritiro degli USA dal TPP. Trump e Abe sono andati subito al sodo: il primo ha detto “proteggeremo il Giappone, nostro solidissimo alleato”, il secondo ha detto d'essere gia' pronto, cazzuola supertecnologica in mano, a investire nelle infrastrutture USA da ammodernare. “Con l'alta velocita' che abbiamo a Tokyo, ci vorra' un'ora per andare dalla Casa Bianca alla Trump Tower a New York”, ha detto Abe, e tra i due l'aria era di un'intesa operativa molto vicina. Altre cose ha fatto Trump. Per esempio, come ho riportato giorni fa, ha accolto alla Casa Bianca l'associazione nazionale degli sceriffi per enfatizzare che e' amico delle forze dell'ordine. Queste informazioni, anche se non passano dalle prime pagine dei giornaloni, arrivano nelle case dalle tv via cavo, dai siti internet  e dai social network. La gente tira le sue conclusioni, e tra Trump e i media non c'e' partita. di Glauco Maggi

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