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Occhio Trump, è partito l'attacco del partito di Hollywood

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

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A parte la qualita' e il merito dei film e degli attori premiati, ieri sera durante la cerimonia dei Golden Globes ad Hollywood sono andati in scena le litanie e gli attacchi del conduttore della serata Jimmy Fallon e della diva eccelsa del cinema USA, Meryl Streep. Come al solito, viene da dire. E l'impressione e' che queste comparsate siano sempre piu' scontate, stucchevoli. Ok, qualche sorriso e qualche lacrima avranno anche avuto l'effetto di lenire il dolore dei liberal presenti, ancora non assorbito, per la notte dell'8 novembre, l'Oscar che lascia il segno nella societa'. Ma conviene ai militanti di Hollywood insistere nel voler apparire, davanti all'America in Tv, come la banale tribuna del conformismo rosso che si masturba alle presentazioni di premio dopo premio, gli Oscar gli Emmy i Golden etc? Per me sono ormai esercizi retorici che rafforzano la divisione tra la gente comune e le elites, tra chi apprezza gli attori che fanno bei film e gli stessi attori quando si travestono da politici. Fallon, si sa, di lavoro fa il “comedian” televisivo di seconda serata, una postazione ufficialmente designata, da anni, ad essere la palestra della satira quotidiana dal lunedi' al venerdi', sempre a senso unico contro i repubblicani e a favore dei democratici. Niente di nuovo, quindi, se ieri sera, che era domenica, Fallon ha scherzato ovviamente contro Donald. “I Golden Globes”, ha detto, “sono uno dei pochi posti rimasti in America che onora ancora il voto popolare”. Il riferimento era alle elezioni presidenziali, dove Hillary ha preso piu' voti di Trump nei 50 Stati, ma e' stata battuta nel Collegio Nazionale dei Grandi Elettori selezionati stato per stato, che e' il meccanismo costituzionale deciso dai padri fondatori oltre 230 anni fa e da sempre applicato. Fallon ha mentito, perche' il gruppo degli 85 membri della Hollywood Foreign Press Association, che selezionano i vincitori, ha un metodo tutto suo per arrivare alle designazioni, che non e' lontanamente accostabile a un “voto popolare”. Ma tant'e'. Ai giullari che devono far ridere il pubblico non si richiede di dire la verita', e Fallon ha solo fatto gli straordinari lavorando anche nel festivo per sminuire il presidente eletto. Piu' seriosa, e piagnucolosa da consumata attrice, la Streep non ha attinto all'ironia ma ha declamato un vero intervento politico. La sua e' stata una performance da surrogata di Barack e Michelle, l'occasione per l'audience orfana di Obama di versare lacrime sull'unico “aborto” che li ha sconvolti personalmente nel 2016, il dramma dell'elezione mancata della Clinton. La pluridecorata di Oscar e Golden Globes ha recitato una tirata contro la demonizzazione del “segmento piu' vilipeso della societa' americana oggi – Hollywood, gli stranieri, la stampa”, alludendo al colpevole di questo clima, Trump. Non lo ha citato, e tantomeno ha ricordato che il presidente eletto ha sposato una slovena, ha un genero e una figlia ebrei, e ha tra i suoi dipendenti ed amici, in America e nel mondo, tanti ispanici, neri, donne e gay da fare di Donald un monumento concreto di apertura e tolleranza per chi e' intellettualmente onesto. Ma Meryl e' andata oltre, riecheggiando lo snobismo dell'Obama del 2008 (quando accuso' i repubblicani di essere “gente avvinghiata a dio, e alle armi”) e della Clinton del 2016 (quando chiamo' la meta' dei repubblicani “deplorevoli” perche' xenofoxi, antigay, sessisti, antiislamici etc). Ha detto, la Streep, che “Hollywood brulica di esterni e di stranieri, e se tu li cacci tutti non avrai da vedere altro che il football e le arti marziali, che non sono arti”. Con cio', ha allargato la lista hillaryana dei “deplorevoli” ai milioni di tifosi degli sport piu' popolari e seguiti dalla gente comune, il calcio americano e il wrestling, sottinteso “roba da buzzurri”. Infine, la Meryl “politica” ha rivolto un appello ai media: “Abbiamo l'esigenza di una stampa ferma nei principi, che richiami il potere alla sua responsabilita' e che lo denunci per ogni comportamento oltraggioso”, ha intimato l'attrice ai giornalisti USA e internazionali. Come se ci fosse bisogno di stimolare il New York Times e compagnia (il 93% dei redattori che hanno dato contributi elettorali ai candidati nel 2016 hanno finanziato la Hillary) ad essere anti-Trump. E come se Trump fosse un pericolo per la liberta' di stampa. E' piuttosto gia' sotto gli occhi di tutti quale sara' l'approccio dei giornali e delle Tv nel seguire la presidenza che verra'. Con Obama che ha preannunciato l'intenzione di fare politica attiva quotidianamente contro il GOP, l'America scordera' il clima che George Bush aveva nobilmente promosso, lasciando governare il successore nel rispetto del galateo istituzionale che prevede “un presidente alla volta” (slogan citato spesso dallo stesso Barack). I DEM avranno invece in Obama un capopopolo che trovera' sui media e in TV piu' spazio dello stesso presidente in carica dal prossimo 20 gennaio: le critiche a Trump e alle sue politiche, che normalmente e ovviamente sono piu' che legittime nel merito, godranno del megafono prepotente di un ex presidente in servizio effettivo vita natural durante, amato e rimpianto dai giornalisti. Donald e il GOP lo sanno, e devono riuscire a contrastare con i risultati concreti il vento mediatico contrario ai repubblicani. Che e' una costante della politica americana, ma che dal gennaio 2017 al novembre 2020 si trasformera' in uragano. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi

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