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Così Obama ha affossato da solo la Clinton (e il partito)

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La corsa alla Casa Bianca in queste ore oscura tutto il resto, come e' ovvio, ma per il governo reale del paese pesano molto, se non di piu', le altre migliaia di sfide che si svolgeranno nelle urne l'8 novembre. Quella piu' importante riguarda i parlamentari. Un terzo dei 100 seggi senatoriali sono in lizza, e il voto potrebbe ribaltare la attuale maggioranza repubblicana di 56 contro 46 DEM. Il mandato dei senatori dura sei anni, e la rotazione e' congegnata in modo da prevedere ogni due anni la scadenza per 33 o 34 di loro. In questa tornata capita che la grande maggioranza dei senatori in scadenza appartiene al GOP, quindi in teoria i DEM hanno piu' possibilita' di conquistare posti che ora non hanno. Quando i sondaggi, un mese fa, davano Hillary ultrafavorita, i democratici puntavano sull'effetto-trascinamento e confidavano di poter strappare un minimo di 5 senatori al GOP, senza perderne alcuno, e di tornare cosi' al controllo del Senato che avevano perso nel 2014. Alla Camera, che ogni due anni rinnova per intero i suoi 435 deputati, l'attuale vantaggio dei repubblicani e' tale - 247 contro i 188 democratici -, da rendere impossibile una piena rimonta. Cio' e' tanto piu' vero dopo il progressivo calo del vantaggio della Clinton delle ultime due settimane, dovuto anche (ma non solo, c'e' anche Obamacare a incidere negativamente sui DEM) alla riapertura dell'inchiesta dell'FBI su Hillary. In concreto, significa che se Hillary non avra' (posta che vinca) entrambi i rami del Congresso in mano al suo stesso partito, le sue politiche di ultrasinistra non avranno alcuna possibilita' di essere trasformate in leggi dal Congresso, i cui due rami hanno, entrambi, il potere di approvarle o bocciarle. La Clinton potra' ricorrere agli ordini esecutivi, come ha fatto Obama, ma solo per rischiare di vederli, poi, bocciati dalla Corte Suprema (l'amnistia ai clandestini, per esempio). Vincere il Senato anche da solo, comunque, darebbe ai DEM una carta fondamentale sulle nomine presidenziali, perche' i senatori, per la Costituzione, hanno il potere di “discutere e dare il consenso” al presidente su un ampio numero di ruoli, dai ministri del suo gabinetto, ai giudici federali di distretto, d'appello e della Corte Suprema, ai capi delle agenzie operative come la SEC. E' vero che per le nomine maggiori e' richiesta la supermaggioranza di 60 voti, ma il vantaggio di un partito che ha sia la Casa Bianca sia il Senato, anche se con meno di 60 voti, resta molto forte, perche' l'ostruzionismo e' un'arma politica dal costo molto elevato da spendere con insistenza. Lo “stato di salute” di un partito va valutato nel suo complesso, e sbaglierebbe di grosso chi giudicasse oggi il GOP in irreparabile disarmo se, ammesso e non concesso, Trump dovesse essere battuto. I DEM stanno oggi peggio dei repubblicani, tralasciando che con Clinton presidente ci sarebbe la sicurezza di un mandato sotto la spada di Damocle dell'FBI, con la prospettiva di un impeachment per i crimini commessi con il server, le email e la Clinton Foundation. Uno studio di Louis Jacobson del Governing Magazine, citato oggi sul New York Post da John Podhoretz, fornisce le cifre della debacle obamiana, che ha ridotto il potere del partito ai minimi termini quanto a cariche elettive di ogni livello. Dal 2009, alle urne in tutta la nazione circa mille democratici hanno perso il posto sotto la presidenza di Barack. Alla Camera, nelle elezioni del 2010, 2012 e 2014 sono stati 63 i deputati che hanno perso il seggio. Nel Senato, i 60 senatori del 2009 sono ora 46. A livello nazionale, nelle legislature dei 50 Stati, i DEM hanno perso 910 seggi, e il GOP ha guadagnato 12 governatori. In percentuale, riassume Jacobson, “ le perdite al Senato hanno raggiunto il 22% e quelle alla Camera il 27%. Tra i governatori, i DEM sono scesi del 36% e nelle legislature locali le perdite sono state un impressionante 59%”. Obama ha lasciato il partito liberal in macerie, e la Clinton nella parte della salvatrice della patria democratica e' una barzelletta. Glauco Maggi

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