Cerca
Cerca
+

Tre motivi per cui l'ultima opera di Cattelan è un cesso

Glauco Maggi
Glauco Maggi

Giornalista a NYC per Libero, autore di Figli&Soldi (2008), Obama Dimezzato (2011), Guadagnare con la crisi (2013), Trump Uno di Noi (2016). Politica ed economia. Autori preferiti: Hayek, M.Friedman, T.Sowell

Vai al blog
  • a
  • a
  • a

 “Qualsiasi cosa mangi, un pranzo da 200 dollari o un hot dog da 2 dollari, i risultati sono gli stessi, dal punto di vista del cesso”. La “riflessione” e' dello scultore artista italiano Maurizio Cattelan che finalmente, dopo l'annuncio dell'aprile scorso (ne scrissi in un Diario d'America il 20/4), ha aperto nel week end alla fruizione del pubblico la sua ultima opera d'arte, per chi vuole chiamarla cosi', al Guggenheim Museum di Manhattan. Nel comunicato di lancio dello stesso museo, i curatori sono andati oltre la incontrovertibile banalita' dell'autore, nobilitando l'idea di “creare ” un water closed in oro a 18 carati intitolandolo “America”. La classica tazza, ma  d'oro, rappresenta “il sogno americano delle opportunita' per tutti”, visto che “il suo utilizzo in ultima analisi ci ricorda le realta' fisiche imprescindibili della nostra umanita' condivisa. La sua natura partecipatoria e coinvolgente - nel senso che i visitatori sono invitati a fare uso dell'oggetto individualmente e privatamente -, permette un'esperienza di intimita' senza precedenti con un lavoro artistico”. L'autore non ha voluto rendere noto il costo del cesso, che e' collocato nel gabinetto unisex del quarto “girone” del museo, riconoscibile facilmente perche' e' l'unico con una guardia sempre davanti e con un inserviente che ogni 15 minuti ne fa una meticolosa pulizia con speciali panni e detersivi di tipo medicale. Ha pero' detto che la sua opera “e' un pezzo d'arte dell'1% a disposizione del 99%”, richiamandosi allo slogan di Occupy Wall Street sulle elite finanziarie che sfruttano il popolo. Quello di Cattelan e' un ritorno dall'esilio, dorato, in cui aveva promesso di ritirarsi. Nel 2011 disse che sarebbe andato in pensione dopo il successo fastoso della sua retrospettiva, sempre al Guggenheim. Ci fu chi tiro' sospiri di sollievo, pensando ai suoi “lavori” anti law& order che raffiguravano quei manichini di poliziotti della NYPD a testa in giu', e ci fu chi lamento' la perdita, sulla scena artistica, di una voce non convenzionale, indubbiamente fertile e capace di originale creativita'. Tutto normale. C'e' stata e ci sara' sempre dicotomia tra le sensibilita' dei tradizionalisti che reclamano attorno all'opera artistica il sigillo della maestria, della tecnica, dello sforzo per il bello come meta, Donatello e Van Gogh tanto per dire, e, sull'altro versante, le curiosita' smaniose e instancabili di chi s'avventura nei terreni della sperimentazione e della scoperta, i Picasso e i Pollock tanto per dire. In questa schiera d'innovatori strategicamente benefici (esplorare e' umano, e sempre sano e positivo) il primo rischio e' pero' la provocazione per la provocazione, con l'approdo alla trivialita', sempre discutibile e a volte disdicevole, per esempio quando sfonda nella bestemmia, che e' la scorciatoia dei liberal atei per colpire la cristianita': il famigerato sterco sulla Madonna esposto anni fa al Brooklyn Museum di New York, tanto per ricordare. Il secondo rischio e' la banalita', tipica dei bambini delle medie, di scherzare pesante con le immagini dei peni e dei culi sui muri dei gabinetti. Al Museo di Pittsburgh dedicato ad Andy Warhol si puo' “ammirare” una parete in lamina di ferro arrugginita dove una macchia opaca, ad altezza d'uomo, e' il risultato di pisciate d'autore. Le sue. E sopra, al piano alto, c'e' un cubicolo che ricorda un confessionale ma invece e' un posticino riservato in cui si puo' guardare un video dove i protagonisti sono ragazzi che si masturbano: su un tavolino c'e' un rotolo di carta igienica, servisse al visitatore arrapato. La “merda d'artista” di Piero Manzoni, chiusa nel barattolo, fece scalpore a Venezia, alla Biennale, e parliamo di alcuni decenni fa. Ed e' addirittura di circa un secolo fa il tentativo di Marcel Duchamps, che non ebbe successo, di esporre un vespasiano, “La Fontana”, in una mostra a New York. Il terzo rischio quindi, nel terzo millennio, e' l'ennesimo plagio delle idee volgari del secolo scorso che sono fiorite sull'ormai trito albero della scatologia e dell'onanismo. E qui c'e' caduto il rientrante Cattelan. Dopo aver ammesso che, per lui, “e' piu' una tortura non lavorare che lavorare”, ha ideato una “scultura” che e' il formale abbandono del suo pensionamento: il water  d'oro replica di un normale cesso della Kohler, di quelli gia' in servizio regolare nel Museo sulla Quinta Strada. Da oggi, al Guggenheim, ci si potra' sentire come Saddam Hussein, che aveva largheggiato nell'utilizzo del metallo pregiato nei gabinetti del suo Palazzo presidenziale. Oppure, se si da' retta ai liberal, la trovata collega il water costosissimo alle decorazioni dorate della Trump Tower. “Probabilmente era nell'aria”, ha detto Catellan per spiegare il fatto di aver concepito il cesso prima che Trump irrompesse sulla scena politica ufficialmente. di Glauco Maggi @glaucomaggi    

Dai blog